Tecnologia condivisa o catastrofica?

Saper tornare indietro per sopravvivere alla crisi climatica

di Michela Zucca - PRIMA PARTE

prima rivoluzione industriale

Dal 18° secolo comincia il periodo della storia umana più prepotentemente segnato dal sapere scientifico. L’idea di un’evoluzione necessaria delle società umane precede largamente l’evoluzionismo in biologia.

La tecnologa come prova di progresso

Dal 18° secolo comincia il periodo della storia umana più prepotentemente segnato dal sapere scientifico. L’idea di un’evoluzione necessaria delle società umane precede largamente l’evoluzionismo in biologia. Gli Illuministi di fatto instaurano una nuova fede: quella nel progresso indefinito del genere umano guidato dalla luce della 'ragione'. Nella percezione collettiva, la prova storica 'eclatante' della superiorità delle società europee metropolitane è costituito dal progresso tecnico e tecnologico, prima ancora che scientifico.

In poche parole: molte altre civiltà hanno raggiunto livelli simili ai nostri, e magari superiori dati i tempi, di conoscenza scientifica: vedi gli astrologi egiziani e sudamericani, i chimici cinesi, e così via. Ma gli scienziati antichi non hanno saputo applicare le loro scoperte, non hanno saputo distinguere il sapere tecnico-scientifico dalle altre forme di sapere. Noi invece sì. E questo ha portato ad un indubitabile miglioramento delle condizioni materiali (e poi, di conseguenza, anche mentali) di vita. Il prezzo pagato è stato la rivoluzione industriale e il degrado ambientale: ma valeva la pena perdere qualche milione di operai nelle miniere e nelle fabbriche per avere quello di cui oggi possiamo disporre. Quanto all’inquinamento, le statistiche sulle aspettative medie di vita parlano chiaro: dove la natura è  incontaminata, si vive la metà. Quindi, malgrado l’elevato tasso di malattie degenerative dovute al peggioramento dell’ambiente, ma anche e soprattutto alla vecchiaia, il 'progresso della medicina' (inteso ancora una volta in senso tecnologico) ha saputo porre un ottimo rimedio. 

 

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Friday for future (Il Secolo XIX)

 

Meglio estinti che regrediti

La caratteristica principale del progresso tecnologico è di sembrare inarrestabile. Anche gli eventi catastrofici, come le guerre, non riescono a frenarlo: anzi, in realtà, sono essi stessi occasioni di progresso. Non solo: l’evoluzione è infinita, e porterebbe, anche attraverso canali non percepibili ai più, ad un miglioramento continuo delle condizioni di vita. Fornirà una soluzione futura a ciò che al momento sembra irrisolvibile. Qualsiasi limite è negativo, irrazionale, perché va 'contro il progresso'. Il pericolo maggiore, lo spauracchio che giustifica i costi dell’innovazione, è il timore di 'tornare indietro'. Minaccia che ancora oggi è contrapposta a chi pretenderebbe un diverso tipo di sviluppo (vedi il movimento di «Friday for future» e le proteste contro la globalizzazione).

In Francia, la corrente di pensiero antropologica denominata tecnologia culturale viene fondata da Andrè Leroi Gourham e Andrè Haudricourt, e si è occupata, dagli anni ’40 in poi, del rapporto tra l’uomo e l’ambiente sulla base della tecnologia. I suoi rappresentanti hanno dimostrato la stretta connessione che esiste  fra la scienza e la società, di cui la tecnica costituisce una delle espressioni, rompendo con la tradizionale divisione fra scienze “scientifiche” e “umanistiche”, ed esplicitando il fatto che gli utensili (dall’aratro all’astronave) non siano, in realtà, che creazioni culturali possibili solo in un certo contesto sociale ed economico.

 

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Collegamenti della Martesana col Naviglio Interno attraverso la Conca dell’Incoronata vicino a Brera

 

L’innovazione possibile

L’innovazione avviene quando una società è matura per riceverla: allora, o viene inventata da qualcuno che sta all’interno; oppure, viene importato da fuori: ma la differenza non è fondamentale. D’altro canto, però, non è possibile alcun tipo di cambiamento tecnologico se non è socialmente (culturalmente; economicamente; religiosamente) accettato: perché la concezione di una tecnica nuova non è solamente di natura materiale, ma rinvia ad un ordine socio-culturale.

In effetti, prima di essere fabbricato, l’oggetto deve essere immaginato, pensato, concepito, creato. Deve rispondere ad una certa visione del mondo o, più semplicemente, ad un progetto sociale: deve servire i bisogni di chi lo adotterà. Altrimenti, anche se riesce ad essere inventato (le macchine volanti di Leonardo) resterà allo stadio di progetto. Nel frattempo, altre invenzioni, magari molto più  complicate e dispendiose da realizzare, ma utili, perché  comprensibili, vengono materialmente portate a termine (l’immenso sistema leonardesco di chiuse per l’irrigazione del territorio, la regolazione e la navigazione dei fiumi lombardi). Non si può scordare, poi, che l’oggetto non è fatto unicamente di materia: è un segno di identificazione sociale, ed è sempre veicolo di significati simbolici, grandi o piccoli che siano (una forchetta non rimanda la stessa densità di senso di uno shuttle; ma nel ‘500, quando la possedevano quasi soltanto i re ed i cardinali…).

 

 

Gran parte del progresso umano avviene nei secoli bui

Ma non è sempre stato così: ci 'dimentichiamo' di ricordare che gran parte del progresso tecnologico che alza realmente il livello di vita della  maggioranza della popolazione europea avviene nei 'secoli bui', ed è opera di elaborazione collettiva delle comunità alpine, normalmente considerate 'arretrate'. Parliamo dei mulini ad acqua (dal VI secolo), dell’aratro pesante (dal VII secolo), della rotazione agraria triennale (dall’VIII secolo), del ferro di cavallo (dal IX secolo), del  basto per cavalli e attracco a tandem per animali da traino; del carro da trasporto pesante (dal IX secolo), del ciclo della legna, della castagna e di altre piante alimentari, come noce, nocciolo, melo… (dal IX secolo), del maglio ad acqua, della ruota grande per filare, del ciclo del vino, dell’alpeggio, delle macine, dei frantoi, dei forni comunitari che servono il territorio a seconda dei bisogni degli abitanti. Noi ci 'dimentichiamo', ma se le donne africane vogliono la farina, ancora oggi devono pestare i semi a mano per ore… Eppure, la cultura alpina è considerata 'medioevale' fino al XIX secolo, quando viene appunto 'raggiunta' dall’«innovazione tecnologica». Ovvero dai trafori che bucano le Alpi per farci transitare le merci e la forza lavoro costituita dalle donne e dagli uomini delle montagne al servizio dei bisogni metropolitani.

 

Le società 'arretrate' non sono società povere

Campagna e dintorni

L'agricoltuta nella montagna lombarda

Da molto tempo si è scoperto che le società 'preistoriche' o 'arretrate' come le comunità alpine non sono dominate da un’economia di miseria e di scarsità di mezzi di sussistenza. Ponendosi stretti limiti demografici e calcolando la capacità portante degli ecosistemi, vivono nell’abbondanza, e non diventano povere se non quando entrano in contatto continuo e prolungato con i bisogni che il capitalismo ha creato, e che il loro sistema di produzione non è in grado di soddisfare.

Le tribù di cacciatori-raccoglitori sono strutture quasi egualitarie: le differenze di classe cominciano ad esistere molto tardi nella storia dell’umanità. La fame cronica di cui soffre gran parte del genere umano è una creazione della nostra epoca, ed è la conseguenza di un’evoluzione tecnologica senza precedenti, che però, in compenso, ha creato generazioni di miserabili.

Sulle Alpi sono rimaste strutture socio economiche,  costruttive e produttive arcaiche, le cui origini risalgono all’età della pietra. Le strutture socio-economiche delle comunità alpine non sono state sostanzialmente modificate né dagli Etruschi, né dai Celti, né dai Romani. Lo stesso avviene con la religione e la cultura. Nelle società matrifocali egualitarie, in cui non esiste quasi la proprietà privata, è assente l’aristocrazia e la schiavitù,  i capi in guerra sono eletti dall’assemblea del popolo in armi e le donne combattono, resistono all’attacco delle culture patriarcali lontano dai luoghi di concentrazione e riproduzione del potere: fuori dalle città, nelle campagne, sulle montagne, nei boschi.

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[sarà pubblicata il 10 gennaio 2020]


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