Tempo e spazio nell'arte

Per la storia diversa delle 'spazialità' nelle arti

di Luca Calabrò

I tre teschi 1900 Paul Cezanne

Flagellazione di Cristo, di Piero della Francesca

L' ultimo millennio di storia delle arti in occidente ha visto un estremo dinamismo creativo nel succedersi di stili e tecniche anche diversissime fra loro.

In questo senso si può parlare di storia delle arti in occidente come processo di continuo cambiamento, anche tumultuoso, diversissimo dalle dinamiche, molto più conservatrici di altre civiltà (vedi per esempio l'arte dell'Antico Egitto).

L'arte è in generale un 'fenomeno che, come tale, si mostra e avviene nello spazio e per mezzo dello spazio e nel tempo e per mezzo del tempo. Una tavola del Trecento, ad esempio, isola dallo spazio circostante uno spazio concluso in cui si mostrano figure, oggetti e lo spazio-ambiente in cui sono immersi. L'occhio dello spettatore si concentra su questo 'sottospazio' e in un determinato tempo di osservazione si costruisce un'immagine mentale dell'opera, opera il cui senso si attua, più o meno, a seconda delle capacità e della cultura dell'osservatore.

Anche la storia della musica occidentale dell'ultimo millennio procede secondo uno sviluppo molto dinamico e, per questo, è interessante una analisi parallela delle forme di espressione visiva e sonora e di come si manifestano attraverso la 'spazialità' e la 'temporalità'. In sostanza sia le arti figurative che la musica, si avvalgono di spazio e tempo con un peso maggiore, di volta in volta, dell'uno o dell'altro. Partendo dalle arti visive, per una storia della spazialità, possiamo iniziare dall'arte bizantina che influenza in maniera pervasiva tutta l'arte pre-giottesca del Duecento soprattutto quindi in Italia.

Una premessa fondamentale al discorso che iniziamo è però questa: noi moderni, abituati all'arte forgiata dalla 'prospettiva lineare', siamo portati a individuare nelle icone bizantine una violazione arbitraria delle regole alle quali siamo abituati. Questo diventa spesso, anche se inconsciamente, un pre-giudizio di merito. Affrontiamo quindi la questione in questo modo: seguendo l'impostazione di Pavel Floreskij, guardiamo le icone secondo lo schema mentale figure e spazio ambiente in cui sono immerse e che con le loro forme scandiscono. Le varie superfici non sono nelle icone scandite secondo il 'punto di fuga' univoco della prospettiva lineare, ma questo non vuole dire che non seguano una legge.

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Nell'arte iconica, per esempio, il panneggio degli abiti, come se fosse sbalzato su metallo, coordina, con effetto pre-cubista, varie piccole superfici che definiscono lo spazio come se in alcune aree fosse più 'carico' o 'capiente' e in altre meno, creando una sorta di 'effetto lente' [foto 1]. Tutto ciò non sarebbe possibile utilizzando la prospettiva 'euclidea' a punto di fuga unico, ma si percepisce là dove abbandonando, secondo appunto Florenskij, il pre-giudizio euclideo si pensa lo spazio totale come composto da diversi 'sottospazi' a diversa 'curvatura intrinseca'. Il tutto immerso nell'ambiente indefinito e virtualmente infinito dell'oro, spazio onnicapiente e non metrico. Proprio e unicamente in questo modo e utilizzando altri espedienti, come la frontalità e la simultaneità di diversi punti di vista, l'arte pre-giottesca si pone come medium che isola dalla realtà esterna favorendo l'adorazione.

Si dice spesso che Giotto rappresenti una cesura nel processo storico-artistico. Vero è infatti che l'arte giottesca mostra un maggiore 'realismo' ottenuto anche attraverso quelle 'scatole prospettiche' in cui le figure sono immerse. Lo spazio inizia qui a coordinarsi secondo le leggi poi formalizzate da Brunelleschi, Alberti e Piero Della Francesca. Prospettiva univoca quindi, e allora, passando qui alla storia della musica, possiamo aprirci a un altro punto di vista.

Luigi Nono, parlando della polifonia veneziana del Cinquecento, in cui più 'cori' (sorgenti sonore) erano disposti in punti diversi dello spazio delle grandi basiliche lagunari e, contrapponendo ciò alla 'monodirezionalità' dell'ascolto dei teatri e sale moderne, sottolineava la maggiore ricchezza della disposizione a 'più cori'. Lo spazio architettonico, scandito dalla molteplice articolazione delle basiliche veneziane, si contrappone allora allo spazio 'monodirezionale' dello schema basilicale classico.

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Tornando alla storia della pittura, vediamo come l'interazione spazio-corpi si proponga in modo vario. Un esempio straordinario è l'arte di El Greco [foto 2] le cui figure, immerse in uno spazio iridescente e omogeneo, hanno la consistenza degli oggetti gassosi fatti della stessa sostanza dell'ambiente circostante di cui sembrano solo momentanee condensazioni. Si anticipano in questo modo le fluttuazioni aeree della grande pittura murale barocca, quella per esempio di Lanfranco, Baciccio e Tiepolo. Affreschi di volte e cupole con glorie celesti sembrano grandi fenomeni atmosferici, momenti transeunti dello spazio aperto, con leggi di aggregazione momentanee. Flagrante è la distanza temporale dalla consistenza delle cose come la sentivano per esempio Botticelli o Filippo Lippi. Ecco qui il punto focale: la prospettiva storica è una dimensione suppletiva attraverso la quale - oltre alle tre spaziali - ci si offrono le opere d'arte.

L'espressione 'prospettiva storica' carica in questo modo il tempo di un sentimento spaziale che, nel nostro comune sentire occidentale, tende analogicamente a confluire in un punto di fuga dalla linearità univoca. Questa prospettiva storica ci conduce allora all'arte moderna che vorrei seguire lungo la direttrice impressionismo-cubismo. L'impressionismo mostra, attraverso mezzi tecnici nuovi, una disposizione mentale molto vicina a quella di El Greco. I più o meno densi corpi-luce dei quadri impressionisti aggrumano e diradano lo spazio-colore che è, in definitiva, l'unica sostanza del quadro.

Nel cubismo, che si collega all'impressionismo tramite Cézanne, il 'quanto' minimo dello spazio sono piccole superfici connesse. Oggetti e spazio, quindi, condividono lo stesso principio formatore riducendo al minimo, se non a un grado zero, la divisione corpo-ambiente. Il cubismo poi riutilizza il principio della simultaneità di diverse prospettive (riprendendolo dalla pittura primitiva e dell'Antico Egitto) riproponendo il sentimento di uno spazio composito e plurifonte che ci collega alla musica del Novecento. Vorrei concludere quindi queste carrellata con tre opere di tre compositori contemporanei: Karlheiz Stockhausen, Iannis Xenakis e Luigi Nono.

Il brano sinfonico «Gruppen» di Stockhausen è scritto per tre orchestre disposte intorno al pubblico e più in alto rispetto ad esso. I suoni si trasmettono da una orchestra all'altra, dando alla enorme densità polifonica e poliritmica dell'opera il senso di un gigantesco 'contrappunto di misura spaziale'.

Un altro brano sinfonico contemporaneo che affronta in maniera originalissima il problema della 'spazialità' è «Terretektorh» di Iannis Xenakis. In questa opera i musicisti dell'orchestra trovano posto sparsi, ma secondo una disposizione precisa, in mezzo al pubblico. I suoni si muovono da un luogo all'altro secondo molteplici traiettorie, lineari, circolari o a spirale.

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L'opera, che è organizzata utilizzando la teoria algebrica dei 'gruppi' - teoria che porta significative implicazioni nell'ordine delle simmetrie spaziali - utilizza lo spazio non più come un semplice contenitore, ma facendolo elemento strutturale della composizione, accanto agli altri parametri, come le altezze, il ritmo, le dinamiche ecc. [foto 3]. Questi brani comunicano quel sentimento primordiale, spesso rimosso, di sgomento di fronte alle manifestazioni più 'sovrumane' della natura, ai grandi fenomeni tellurici, uraganici e cosmici. 

L' ultima opera che propongo è 'Il Canto Sospeso', per coro e orchestra, di Luigi Nono le cui pagine finali appaiono nella foto [foto 4]. Riproponendo l'antico schema dei 'Cori Spezzati', proprio della polifonia marciana, Nono pone lo spazio direttamente all'interno della partitura. Il testo - «Lettere di condannati a morte della resistenza europea» - scomposto nei suoi fonemi è come esploso e l'assetto sonoro elude gli schemi della polifonia lineare. L'andamento sonoro salta da un luogo all'altro come mostrato dalle frecce tracciate fra i pentagrammi e l'effetto acustico è quello di un 'ologramma' sonoro che si gonfia oltre le direttrici verticali e orizzontali della partitura in una terza dimensione che è già spazio-ambiente sonoro. 

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foto 4

La 'venezianità' di Nono e la storia, sospesa fra oriente e occidente, della città lagunare si esprimono nello spazio 'plurimo' - per usare una espressione del pittore, anche lui veneziano, Emilio Vedova - delle chiese con molteplici  'cantorie' e gettano nuova luce su un sentimento 'altro' del tempo-spazio storico. Questo sentire scavalca la percezione della storia oggi così schiacciata sulla direttrice monoprospettica di ciò che Pierpaolo Pasolini individuava come uno 'sviluppo' senza 'progresso'.

 

 

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