Il futuro

Il futuro della Medicina oncologica

Luci e ombre

di Alessandro Bertolini

provette

Quand'ero ragazzino, pensare al futuro accendeva pensieri che si perdevano nella fantascienza. D'altronde si era nel periodo pionieristico delle imprese spaziali e tutto il probabile progresso era sotto l'influsso di un futuro onirico. 

Oggi invece il mondo corre così velocemente, che è possibile pensare a come evolverà nel breve periodo senza l'ausilio di alchimie di pensiero. La medicina oncologica non è differente dal resto delle invenzioni ed è possibile immaginare come sarà di qui a dieci anni, senza incappare nell'errore di un futuro improbabile.

Tutti gli sforzi della ricerca medica oncologica sono indirizzati verso la scoperta di cure personalizzate e questa strada sarà percorsa per i prossimi anni in maniera certosina.
È vero che siamo ancora abbastanza lontani dall'obiettivo 'personalizzazione totale' e questo modo di affermare come evolveranno le cure oggi giustifica più certi costi della scienza piuttosto che risultati tangibili. Per i tumori la farmacologia si è mossa verso la ricerca di precise anomalie molecolari e di converso di cure che colpiscano in modo selettivo queste stesse diversità biologiche.
Il filone della ricerca oncologica che persegue queste finalità è quello delle cure a bersaglio molecolare, comunemente dette 'target therapy', usando l'ennesimo inglesismo.

Quali sono i vantaggi di queste terapie a bersaglio?

Sulla carta notevoli, perché identificata un'anomalia genetica nella malattia, o una precisa sequenza biochimica che stimola la crescita tumorale, cercare un farmaco che le colpisca vuol dire essere selettivi e distruttivi al tempo stesso. È un po' come trasferire in medicina il concetto di guerra moderna, fatto di bombe intelligenti che colpiscono il target individuato, quando ci riescono.

Quali sono gli svantaggi?

Anch'essi numerosi, per una serie di fattori.
Il primo è che l'anomalia genetica o la sequenza biochimica qualche volta è presente anche su cellule non tumorali ed il farmaco colpisce il bersaglio ogni volta che lo trova. Distrugge il tumore ma esaspera gli effetti collaterali, colpendo zone sane.
Il secondo fattore è il costo della ricerca e quindi il conseguente prezzo concordato per l'immissione in commercio di queste molecole.
Questi farmaci nascono grazie ad una ricerca impegnativa tanto costosa, che il sistema sanitario occidentale non sempre può permetterseli. Nei paesi in via di sviluppo l'uso di questi nuovi prodotti non ha mercato, perché il cercare cure a bersaglio per malattie tumorali è l'ultimo dei problemi di certe società del terzo mondo, dove le malattie da curare sono ben altre.

In occidente una cura a bersaglio molecolare impone che si stornino risorse cospicue, al punto che da qualche tempo i servizi sanitari concordano con i produttori una sorta di rimborso dietro risultato (paying by results), altrimenti il sistema salterebbe dal punto di vista economico. La ricerca della cura personalizzata deve andare di pari passo con la ricerca dei soldi necessari a pagarla e questo renderà sempre più difficoltosa la quadratura del cerchio.
Vivremo nel medio periodo anche altre difficoltà, frutto di un futuro divenuto realtà.
Le aziende farmaceutiche, che ormai sono le uniche nel mondo a fare ricerca farmacologica, la fanno solo dietro il miraggio del businnes. Si sono gettate in massa nella ricerca verso i bersagli molecolari e così facendo oggi abbiamo più molecole per le stesse malattie. Molecole che sono in concorrenza tra loro e che non offrono un risultato differente ai malati. Sono state impiegate numerose risorse e tempo, perseguendo le stesse motivazioni, senza differenti vantaggi per i potenziali utilizzatori. Meglio sarebbe stato concordare tra le industrie una divisione degli obiettivi da ricercare, per ottenere di più su molti argomenti e non molto su pochi.

Altro problema è che qualsiasi ricerca in campo farmacologico è seguita da un periodo di garanzia di monopolio d'uso del prodotto, in genere una decina anni. Scaduti i termini del monopolio, chiunque ne abbia le capacità può copiare il prodotto e farne commercio, previa autorizzazione ministeriale. Avviene così per tutti i farmaci 'normali', per i quali esiste nelle farmacie l'alter ego 'generico'.
I generici dei farmaci a bersaglio molecolare, che sono farmaci biologici di fabbricazione non chimica e che richiedono un know how più impegnativo, si chiamano biosimilari.
Un biosimilare non è perfettamente uguale al competitor di marca, anzi è diverso, perché non è formula chimica di sintesi ma un prodotto biologico che spesso coincide con un anticorpo monoclonale o con una sintesi batterica. I biosimilari non sono tutti uguali, come efficacia e tossicità.

L'arrivo di farmaci non di marca libera risorse del Servizio sanitario nazionale (SSN), perché a parità di risposta consente di curare i malati a costi decisamente inferiori e in questo modo il sistema salute può utilizzare quanto risparmia per acquistare i nuovi farmaci del futuro.
C'è però un aspetto negativo in tutto questo. Chi produce farmaci di marca deve ottenere l'immissione in commercio il più in fretta possibile, per battere l'eventuale concorrenza di altre aziende che lavorano a progetti analoghi. Il tempo poi per studiare il farmaco per nuove indicazioni ci sarebbe anche, ma si rischia di utilizzare risorse per dimostrare una teorica efficacia che sarà commercializzata dai produttori di biosimilari alla scadenza dei brevetti e non dalle industrie che hanno finanziato la loro scoperta. Quindi tutte le grandi aziende che fanno ricerca lavorano sul presto e subito, con poco interesse economico al futuro.

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Anche le molecole che utilizziamo tutti i giorni per curare il cancro, quando non c'è disponibilità di farmaci a bersaglio molecolare, direi che siamo ancora attorno al 75% delle cure, non sono più studiate da nessuno, perché chi ne possedeva il marchio ora è scalzato nelle vendite da chi è produttore generico. Questo nuovo distributore ha margini così risicati da non poter stornare risorse per ulteriori ricerche e non ha neppure interesse a farlo.
Questa ricerca affannosa di farmaci del futuro sta monopolizzando la scienza farmacologica e ormai quello che governa il sistema è il consumismo più estremo, che si riassume con 'va bene per questo e per questo lo vendo il prima possibile'.
Appena un farmaco cessa di essere monopolio di un'azienda, smetterà di creare futuro, sia esso farmaco chimico o farmaco a bersaglio molecolare, facendoci perdere delle potenziali occasioni di conoscenza.

La ricerca clinica è trovare una risposta ad un problema. L'idea in partenza è sempre buona, ma saranno i risultati oggettivi a darci il valore finale. Molto spesso si parte bene e poi si arriva al classico buco nell'acqua e non sempre il rischio può valere la candela. Nella farmaceutica consumistica della nostra epoca questo è ciò che prevale, complici i regolamenti degli enti regolatori, gli interessi dell'industria e i sacrosanti desideri dei malati.
Bisognerebbe allungare i tempi di copertura dei brevetti per consentire a chi ha inventato un prodotto di sperimentarlo nel modo più ampio possibile con adeguate garanzie di vendita futura.

Alessandro Bertolini, Direttore SC Oncologia Medica, Direttore DIPO XV della Provincia di Sondrio

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