L’inferno

Diavoli vendicatori e poveri diavoli

I demoni nelle danze macabre alpine

di Michela Zucca - SECONDA PARTE

vetrina Pinzolo 1920

La 'danza macabra', chiesa di San Vigilio a Pinzolo

Per l’ortodossia cattolica, il Demonio non ha corpo: è un essere spirituale, come Dio. Non si può vedere né toccare: è lontananza dall’essere supremo, prima fonte di gioia: quindi, è la causa del dolore assoluto e della dannazione.

Le danze macabre sulle Alpi

«Papa collo ‘mperadori
Cardinali e gran signori
iusti e santi e peccadori
sa la morte ragguagliare.

A li giusti è gran sollacio
quando vien la morte vacio
remane ‘n terra el corpo marcio
l’anima con Dio va a stare». 

Santuario Consolata Danza macabra

Chiesa Sant'Agostino, Saluzzo

Dalla Spagna settentrionale a Saluzzo, dalla Finlandia all’Inghilterra, questo il quadrilatero in cui, a cavallo fra il Medio Evo e l’età moderna, si diffonde un nuovo motivo iconografico popolare: la danza macabra. Territori di maggiore diffusione degli scheletri che ballano sono l’arco alpino, e la Germania nord orientale; la Bretagna e la Francia settentrionale. Luoghi in cui resistono tradizioni pagane, una cultura arcaica che ha accettato la cristianizzazione in ritardo e molto malvolentieri, comunità libere, in cui quasi non esiste la proprietà privata della terra e dei mezzi di produzione, circondate da un ambiente ancora allo stato semi selvaggio: enormi foreste, montagne e grandiose cime, sentieri assediati dai briganti e percorsi dagli eretici.

Mai come allora, le Alpi hanno unito popoli, tradizioni e civiltà, anziché dividerli. Per secoli, hanno conservato l’egemonia politica, economica e culturale sull’intera Europa.

Anche se oggi può sembrare strano, è proprio nelle regioni dell’arco alpino che si realizza la grande produzione culturale e artistica dell’alto Medio Evo. Quando le splendide città dell’epoca romana si riducono a ricettacolo di malfattori, sbandati, mendicanti e ladri di macerie, è sulla cima dei monti che si sposta la gente che conta: dai castelli ai monasteri, nobili e monaci danno vita ad una civiltà non urbana, praticamente seminomade. Una cultura che ha creato gli amanuensi e i trovatori, che perpetua gli strumenti del suo sapere nelle biblioteche e nei canti dei menestrelli erranti. Una società dove non esiste una compagine statale ben definita; l’impero è lontano, le nazioni ancora non esistono. Il potere è decentrato, esercitato in forma più o meno blanda dai feudatari o dagli abati. Per la scarsità di uomini e di mezzi, i controlli erano scarsi e difficili. I contadini continuano a vivere come hanno sempre vissuto, osservando gli antichi riti, raccogliendo e cacciando più che coltivando i campi. La popolazione era scarsa su un territorio sconfinato: bastava poco per sopravvivere.

Mano a mano, però, che il potere delle città di pianura si allarga, lentamente esse acquistano in ricchezza e 'spazio vitale”, allargano i propri domini, estendono le proprie esigenze: da una parte e dall’altra delle Alpi cominciano a formarsi gli stati nazionali, che distruggeranno le libere leghe di valle e faranno sparire i retaggi feudali. La chiesa a poco a poco cerca di penetrare anche nei villaggi più isolati, sradicando boschi sacri, lanciando anatemi contro gli spiriti, proibendo l’esercizio della sessualità, lanciando crociate contro gli eretici, bruciando le prime streghe: è proprio in questo momento che si diffondono le danze macabre. Sono i manifesti di una guerra che fu combattuta e persa, di cui è svanita la memoria.

È nel bel mezzo di queste battaglie dimenticate che i bianchi muri di mezza Europa si adornano di balli di cadaveri.

Sembra che i dipinti fossero centinaia. A questi bisogna aggiungere un numero pressoché corrispondente di edizioni illustrate6: una diffusione capillare su tutto il continente. Per di più, non si trattava di raffigurazioni destinate a sedi difficilmente accessibili, o relegate in belle sale riservate alle élite. La danza macabra non è mai stato un motivo dotto, teologico o intellettualistico, o magari letterario. Non erano mai decorazioni secondarie o poco visibili: prendevano intere fasce di muro, in luoghi bene in evidenza, sia a piedi che a cavallo, e molto frequentati. Basti guardare le danze di Pinzolo e di Clusone. Posti preferiti, oltre alle pareti esterne più in vista di città e paesi, i ponti che conducevano ai centri abitati, e ai cimiteri. Il numero di quelli che le contemplarono, e che ascoltarono le prediche destinate a commentarle, rimane incalcolabile.

clusone macabra 2

La 'danza macabra' di Clusone

Anche le modalità di esecuzione dell’orrida rappresentazione non sono le solite: nella maggioranza dei casi, le danze macabre non sono commissionate dal clero, o da qualche ricco nobile che vuole acquistarsi un certo numero di indulgenze in Paradiso, o sciogliere un voto per grazia ricevuta. Questi affreschi (e si badi bene che l’affresco è la tecnica più costosa in pittura, quella che richiede l’intervento di professionisti, ma destinata a durare per l’eternità) sono ordinati a pittori erranti, come i Baschenis de Averara nel caso di Pinzolo e Carisolo, dalle comunità stesse, che si autotassano e invitano l’artista 'dall’estero', pagandolo caro, anche in tempi di carestia. Che concorrevano al lavoro di manovalanza e di supporto senza neanche tentare di sottrarsi. Perché? Che cosa spingeva questa gente a togliersi il pane di bocca, oltre all’amore per l’arte?

Comuni e parrocchie, con la partecipazione attiva dei censiti e dei parrocchiani, concorrevano al proprio abbellimento, che doveva avere finalità edificanti. Per raccogliere il denaro necessario alle 'fabbriche' degli affreschi ci si appoggiava alle oblazioni alle Confraternite, ai Legati, alle rendite della chiesa, e, infine, alle multe imposte ai trasgressori delle disposizioni emanate dai Comuni. L’azione culturale e di propaganda che, in questo modo, veniva effettuata fin nei più piccoli centri abitati, acquistò presto una dimensione anche politica, prima che artistica e filosofica: era, infatti, un’aspirazione ad affermare la propria identità autonoma, in contrapposizione, anche polemica, con i centri urbani e signorili di maggiori dimensioni7.

La danza macabra, però, non è soltanto una dimostrazione di orgoglio attraverso l’arte. E non si può certo definire un 'motivo decorativo'. Anzi: si possono ipotizzare dei tentativi di interpretazione a livelli diversi, che affondano le radici nella cultura popolare del tempo. La quale, a sua volta, è il risultato di una concezione generale del mondo che rimandano a lontananze temporali che possiamo ritrovare soltanto negli archetipi della nostra civiltà e del nostro inconscio. Oppure nel mito.

 

Chi ha paura del discorso del diavolo…?!

Nella danza macabra, è il diavolo che prende la parola: e il suo è un discorso sovversivo, un incitamento alla rivolta, al rifiuto dell’ordine costituito. Se tutti sono uguali di fronte alla morte, perché non lo possono essere anche nella vita? Perché il messaggio più potente che viene 'trasmesso' dalla bocca dei demoni nelle danze degli scheletri dai muri di tutta Europa, è la comunanza della sorte di ognuno, e quindi l’assoluta uguaglianza di fronte alla morte, che scardina ogni gerarchia sociale, ogni divario di età, ogni differenza di sesso e di professione.

Quegli antichi pittori, nomadi senza patria, erranti e 'irregolari', fuori moda nello stile e nei modelli figurativi, ancora legati al gotico e a canoni interpretativi semplici da capire per la gente del popolo, un po’ come succede oggi per i fumetti per i fotoromanzi, furono feroci con i potenti del mondo. Per mezzo di esseri subumani come i diavoli, trasformati in scheletri strafottenti (questi sì, i contadini medioevali li conoscevano bene e li avevano visti!!!), li schernivano senza pietà, con cinismo, ironia e sadico compiacimento: era probabilmente l’unica occasione in cui potevano permetterselo. Il potenziale contenuto sovversivo delle danze dei morti era eclatante ed esplosivo. Queste raffigurazioni erano come dei manifesti che incitavano alla rivolta: erano delle minacce dipinte. E gli artisti diventavano interpreti di quanto fremeva nel profondo degli animi dei popoli cristiani8. Ecco alcune delle parole pronunciate dai diavoli-scheletro, posizionate come didascalie sotto alle figure, in cui accompagnano e parlano ad ognuno dei dannati:
«Oh! Sommo padre vieni pure avante
voglio anche te con me sempre danzante.
Niuna indulgenza or ti può esser buona
né doppia croce né triplice corona».9 (19)

A Pinzolo e a Carisolo, in Trentino, la processione è aperta nientemeno che dal papa, e quegli antichi 'fumetti' recitano:
«O summo pontifice de la cristiana fede
Balar te convene mecho come se vede».

Segue il cardinale:
«Mecho balla o Cardinale
Chel cessare indreto a ti no vale». 

Quindi un vescovo spaurito, dal viso duro:
«O Episcopo mio giocondo
Se giunto al tempo de abandonar el mondo».

Il prete è guidato da uno scheletro strafottente, che lo tiene per mano, ghignando:
«O Sacerdote mio reverendo
Da morte scapar no poi drio ti prendo».

Un frate francescano, bello grasso e rubicondo (nel Medio Evo i conventi erano famosi per la qualità della loro cucina, e i frati considerati pericolosi ghiottoni: di cibo e di donne), si sente apostrofare in questo modo:
«O padre spirituale
Tu et altri meno guale».

Dopo i religiosi, così in cielo come in terra, seguono i laici, sempre disposti secondo l’ordine gerarchico. Il primo, naturalmente, è l’imperatore. La scritta è pressoché illeggibile, ma può essere integrata con quella della danza di Pinzolo:
«O Cesario imperatore vedi che li latri jace
Che a creatura humana la morte no a pace».

Poi c’è il re, giovane e bello, che indossa un abito alla moda, stretto ai fianchi:
«O potente corona reale
Theco no porti che il bene el male».

La figura del duca è maestosa e superba, e fa finta di non ascoltare l’invito al ballo del suo scheletro, che, sarcasticamente, si sente dire:
«Signor duca
che alfin la morte te trabucha».

L’avaro ricco e usuraio cerca di voltar via il viso davanti alla morte, e cerca di non guardarla in faccia: ma lei gli ordina di seguirlo, sbeffeggiandolo: 
«O tu richo nel numero degli avari
Che in tuo cambio la morte no vol denari».

Seguono i rappresentanti delle varie classi sociali; ricchi e poveri, nobili e plebei: al contrario che nel mondo reale, però, sembra che nell’oltretomba i poveracci siano una ristretta minoranza, e che la morte preferisca quelli che in vita sono stati più fortunati. Gli unici con cui si mostra gentile sono i marginali, oppure i bambini.

Sempre a Carisolo, la figura del mendicante che si aggrappa alle stampelle è sorretta da uno scheletro compassionevole, il poverio diavolo empatico che non fa paura a nessuno:
«No dimandar misericordia o povereto zopo
A la morte che pietà no ha ge darà intopo».

Il bimbo, addirittura, tende fiducioso la mano alla morte, rappresentata da uno scheletro anch’esso bambino, che sembra consolarlo così:
«O fantolin no pianger
Come sei ingenerato sei anche liberato».

A Pinzolo, addirittura, lo scheletrino porta una lunga asta, sormontata da una ruota dentata e da due sonaglini: una specie di girandola, un giocattolo che emette un allegro tintinnio: uno dei balocchi che molti dei ragazzini del Medio Evo potevano soltanto desiderare in sogno, visto che appena riuscivano a camminare dovevano cominciare a lavorare, dimenticandosi l’infanzia.

Historisches Museum Basel Totentanz 25102013 E

La 'danza macabra' di Basilea

Ma la morte come estremo conforto al termine di una vita ingiusta, vissuta da poveraccio o da emarginato, è un motivo ricorrente in tutte le danze macabre. A Basilea è addirittura il pittore che ironizza su se stesso, artista insigne (i frammenti che si sono salvati dalla distruzione, e le riproduzioni che sono state fatte della danza ci dicono che gli affreschi dovevano essere stupendi) ma comunque relegato al di fuori dell’alta società del tempo, che frequentava per ragioni professionali, a cui però non poteva appartenere né per casta né per ricchezza. E lo scheletro lo chiama gentilmente, così:
«Il cavalletto chiudi caro pittore
getta il pennello ora, lascia il colore.

Tu dipingesti me con mal creanza
simile a me or entra nella danza.

Pittore della Danza della Morte
compiuta è s’anchio son di questa corte.

Questo sarà quindi il pagamento
ove finisce lei, cessa il tormento».

Nei viventi c’è tristezza, non c’è paura. Come nella danza di Clusone, dove il capo demone sotto forma di scheletro ghignante incoronato sventola una bandiera in cui afferma che la morte può essere accettata con serenità:
«O ti che serve a Dio del bon core
Non havire pagura a questo ballo venire

Ma alegramente vieni e non temire
Poij chi nase elli conviene morire».

Nel cimitero di Pisa esisteva (oggi è stato spostato) un trionfo della morte antichissimo, che risale al 1360-1370. Una delle iscrizioni, nella solita forma di arcaico fumetto, recita:
«O morte, medicina di ogni pena,
Deh vieni a darci ormai l’ultima cena!».

Sarebbe sbagliato, però, pensare che queste invocazioni siano un invito al qualunquismo, all’accettazione dell’ordine costituito in nome di una ricompensa in cielo: al contrario. Le cronache del tempo (le notizie che sono arrivate fino a noi) ci parlano di un periodo turbolento, in cui un niente bastava a far scoppiare la rivolta. L’immagine del servo della gleba, pronto ad eseguire gli ordini del signore, è completamente da rivedere. Semmai, nascerà molto più tardi: e sarà la conseguenza di una sconfitta epocale, sancita teologicamente dal Concilio di Trento e politicamente dalla 'ragion di stato'. Ma in questo periodo la battaglia è tutta da combattere, e gli esiti sono ancora incerti.

L’aumento della popolazione sulle Alpi espelleva di continuo dalle zone in quota e dalle valli uomini che non riuscivano a trovare spazio nell’economia dell’allevamento seminomade. Il salto da pastore transumante a vagabondo, da vagabondo a bandito era molto facile. Questa situazione si verificava soprattutto nelle zone di collegamento fra pianura e montagna.

Le danze macabre sono un manifesto e un segnale che danno speranza agli irregolari e ai rivoltosi di ogni risma: guardate, siamo tutti uguali, ricchi e poveri, belli e brutti, giovani e vecchi, uomini e donne, preti e laici, potenti e miserabili, tutti uguali di fronte alla falce della morte, che mieterà il suo raccolto quando verrà il momento che solo lei conosce. E poi, vista la vita che si vive noi poveri diavoli, tanto valle combattere senza paura: per lo meno potremo cavarci qualche soddisfazione, e magari vendicarci di qualche torto. Se si muore, riposeremo finalmente, senza più bisogno di penare per continuare a vivere, senza fame, freddo, ingiustizie da subire, umiliazioni da dover ingoiare... e lei ci accoglierà con affetto, dolce signora che ci promette un meritato (ed eterno) riposo...

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6 AA. VV., Immagini della danza macabra nella cultura occidentale dal Medio Evo al Rinascimento, Como, Nodo Libri, 1995, p. 16.

7 Silvia Vernaccini, Baschenis de Averaria, Trento, Temi, 1989, p. 38.

8 Silvia Vernaccini, Baschenis....cit., p. 85.

9 Danza macabra di Basilea: forse la più antica, datata al 1312. Oggi non esiste più.

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