Il cantautore della storia

Francesco De Gregori e le vicende dell’umanità

di Franco Ferramini - SECONDA PARTE

de gregori brusio

Viadotto di Brusio, Valposchiavo, 2017 (foto: Rosanna Capobianco)

Credo che non ci sia cantautore in Italia che abbia nella sua discografia riferimenti alla storia del nostro paese più di Francesco De Gregori.

La storia ritorna in «San Lorenzo» dall’album «Titanic» del 1982. La canzone è un quadro del bombardamento alleato su Roma del 19 luglio 1943. Tragedia del popolo romano, 3'000 morti e 11'000 feriti, di cui 1'500 morti e 4'000 feriti solo nel quartiere di San Lorenzo. Se ce ne fosse bisogno, tutto ciò vale a dimostrare l’assurdo della guerra, che uccide quelli che in futuro grazie anche a questa strage saranno liberati: per distruggere gli oppressori, uccidere gli oppressi. C’è qualcosa che non quadra. Nel 1985 esce «Scacchi e tarocchi» ed ecco «La Storia». Celeberrima canzone, invito chi non la conosce ad ascoltarla. Dovrei riportare tutto il testo per quanto è importante, ma sul web si trova ovunque, permettetemi l’omissione di queste parole, anche se sono le più importanti per l’argomento di questo articolo. Ottima per comprendere il significato fondamentale e profondo della Storia, quella che fa tremare i polsi quando vi si ritrova un fatto, un episodio, e in quell’evento del passato si specchia la quotidianità, la contemporaneità di qualcosa che sta accadendo in quel preciso istante vicino a noi o in qualche altra parte del mondo.  Nel 1987 esce «Terra di nessuno» e in questo album c’è una raffinata ballata tipicamente 'degregoriana' , «Capataz»: «Capataz» è 'il capoccia', il 'capetto' a cui si dice «…non siamo nati mica ieri…c’è un altro tipo di futuro, Capataz…». Un avviso al più basso livello di comando di stare attento, basta poco, chi subisce prima o poi potrebbe ribellarsi «…non siamo nati mica per morire qua…». Basta un segno, che quando cambia il vento le cose potrebbero rivoluzionarsi. La storia come speranza per il futuro, una bellissima canzone.

Nel 1989 esce «Miramare 19.4.1989», a mio parere uno dei più bei lavori, tutte canzoni splendidamente musicate, che affondano le lame di parole perfettamente inquadrate nel contesto sociale di quel tempo. Da quell’album estrarrei «Pentathlon», in cui il nostro si scaglia elegantemente contro colui che potrebbe essere un politico, un manager, un giornalista o un personaggio televisivo del tempo. Sintomatica la frase: «…tu non mi piaci in nessun modo, e grazie al cielo io non piaccio a te…». Seguire il percorso storico e musicale del nostro artista fa sì che alcune canzoni testimoni del tempo in cui furono scritte si possono continuamente riadattare all’attualità. Questo processo è tipico di quando si scrivono testi di un certo rilievo, che non scompaiono nella fruizione usa e getta del momento. In pratica quando ci si chiama Francesco De Gregori. Proseguendo nel nostro breve percorso, per forza di cose limitato dallo spazio di un articolo, arriviamo al 1992, «Canzoni d’amore» con il pezzo «Tutto più chiaro che qui». Parole stupende, struggenti, scritte nella malinconia di chi non vive bene i fatti del proprio tempo e si rivolge a qualcuno lassù, nel cielo da cui sicuramente le cose vengono viste con un occhio migliore. La Storia si trasfigura in una visione soprannaturale, cercando la soluzione dei problemi sociali in chi non c’è più o può dare una consolazione a chi si scontra tutti i giorni con la realtà qui, sulla terra. Parole e musica malinconiche e bellissime, un appello sull’orlo della disperazione a chi teoricamente 'può fare di più'. 

Nel 1996 esce «Prendere o lasciare» e per la prima volta in questo album non si riesce a trovare una canzone che abbia un riferimento alla storia degli uomini o delle cose, a meno che non si nasconda dietro qualche complicata metafora a me sfuggita. Bisognerebbe chiedere all’autore. Nel «Cuoco di Salò» dall’album «Amore nel pomeriggio» del 2001 si torna a bomba con la descrizione di un personaggio ai margini della storia, un testimone importante ma umile, un cuoco al servizio di Mussolini ai tempi della Repubblica di Salò. «...Qui si fa l’Italia e si muore…», dice il cuoco, sostituendo la 'o' di Garibaldi con una inequivocabile 'e', descrivendo con le sue parole la decadenza di quel regime, e i poveri quindicenni arruolati per difendere l’ormai indifendibile. In questo stesso album c’è anche »Condannato a morte», canzone contro la pena di morte e l’intolleranza religiosa, che qualcuno dice ispirata da Salman Rushdie, scrittore che nel 1989 fu colpito da una 'fatwa' del regime iraniano di Khomeini per il suo libro «Versetti satanici».

Nel 1992 Francesco De Gregori torna al passato, in collaborazione con Giovanna Marini, nell’album «Il fischio del vapore». Con lei il cantautore romano aveva iniziato la sua carriera, ai tempi del «Folk-studio» di Roma e con questa cantante di musica folk-popolare ripercorre brani della storia italiana, da «L’attentato a Togliatti» ai «Treni per Reggio Calabria», passando per «Sacco e Vanzetti», «Il feroce monarchico Bava», «Lamento per la morte di Pasolini», fino a «Bella ciao» e »Saluteremo il signor padrone», canto delle mondine. Un tuffo a capofitto nella storia della musica popolare italiana.

In «Pezzi», album del 2005, significativa al nostro scopo è «Gambadilegno a Parigi», storia in cui un reduce di guerra si ritrova a vivere una vita che, come per tutti i reduci colpiti irrimediabilmente nel fisico, non sarà mai più come prima; sogna Atene ma si ritroverà con una protesi, senza una gamba, zoppicante per le strade di Parigi. Come è possibile cogliere la bellezza dopo le devastazioni della guerra? Nello stesso disco «Vai in Africa, Celestino» può trarre ispirazione da Walter Veltroni, Celestino V o il libro «La profezia di Celestino». A chi legge, se incuriosito, l’ascolto e la scelta. Ancora qui la canzone «Tempo reale» descrive l’Italia di quel momento. Penso che non pochi di noi in un periodo della nostra vita abbiano pensato la frase «…se potessi rinascere ancora…preferirei non rinascere qua». Ancora in questo album «Il vestito del violinista», ispirata alla tragica e orrenda strage di Beslan, nella quale nel settembre 2004 in Russia, nell’Ossezia del Nord, Regione del Caucaso, un gruppo di separatisti ceceni e terroristi islamici sequestrarono in una scuola 1200 persone e ne uccisero più di trecento, tra cui 186 bambini.

Per la seconda volta, nell’album «Calypsos» del 2006 non si riescono a trovare riferimenti alla storia, ma nell’album «Per brevità chiamato artista» del 2008 con la canzone «Celebrazione» si torna a parlare di un periodo del passato, in questo caso il mitico e fatidico Sessantotto. De Gregori critica alcune istanze di quel periodo e non le rimpiange, «…ci sono posti dove sono stato…posti dove non tornare…». In «Sulla strada» del 2012 la canzone con un bozzetto storico è «Bell’époque», una canzone ispirata dalla vita del grande poeta Dino Campana, un pezzo che illustra la Parigi dell’inizio del secolo scorso. Nel dipanarsi del testo, la frase «…fischia il sasso, fischia il vento, sta arrivando il Novecento» è molto efficace nel descrivere la differenza tra l’atmosfera parigina e l’approssimarsi dei primi grandi eventi del secolo, la Prima Guerra Mondiale, la rivoluzione russa e gli altri tragici eventi di un secolo determinante e foriero dell’avvento di una umanità, da allora, per sempre diversa. Nel 2014 De Gregori pubblica un album in studio, »Vivavoce», del quale lui stesso dice che è una raccolta di 'cover di se stesso'. Traggo l’occasione per parlare di un’altra canzone, »Il bandito e il campione» presente in questo lavoro ma pubblicata in un live del 1993 come unica da studio. Scritta dal fratello Luigi Grechi (Grechi è cognome della madre dei due, all’anagrafe è De Gregori), questo brano narra della storia di due amici, Costante Girardengo e Sante Pollastri, divisi nella vita da un destino capriccioso e ineluttabile: il primo diventerà il campione sempiterno di ciclismo che conosciamo, il secondo diventerà un bandito, un rapinatore spietato. Da questa storia è stata tratta una mini-serie televisiva della RAI, con Beppe Fiorello, andata in onda nel 2010.

Ad oggi l’ultimo album in studio di Francesco De Gregori è «De Gregori canta Bob Dylan- Amore e furto» del 2015. Un lavoro che sembra quasi l’apoteosi di una carriera musicale, non avendo mai nascosto, da parte del cantautore romano, un amore viscerale nei confronti del collega statunitense. Quante sono le canzoni di De Gregori che nella struttura musicale ricordano le 'ballad' di Bob Dylan? Molte, a testimoniare una carriera quasi parallela tra i due, seppur l’italiano, essendo più giovane, ha cominciato qualche anno più tardi. Tra amore per il folk, impegno sociale e la volontà di segnare epoche passate, presenti e future con le proprie parole, questo album rappresenta quindi la 'storia nella storia' della canzone, in un ideale ponte tra la canzone d’autore italiana e quella americana. Alla fine di questo breve percorso, forse anche parziale o incompleto, sulla massiccia presenza della Storia nelle canzoni di Francesco De Gregori, volevo comunque far notare che ovviamente non ci sono soltanto richiami storici nell’ 'opera omnia' di questo cantautore.

>Soffermiamoci ad ascoltare, o riascoltare, vecchie e nuove sue canzoni; pur nel suo conclamato ermetismo, che con metafore spesso di difficile interpretazione e la sua algida presenza fisica a volte lo fa apparire distaccato dall’ascoltatore comune, è necessario scavare a fondo nella carriera del cantautore romano. Si troverà allora quello che è il lato a mio parere più vero del 'Principe': il suo accorato schierarsi sempre e comunque dalla parte degli ultimi, delle figure marginali nelle storie individuali e collettive.

Canzoni d’amore e del sociale, senza mai svendersi però in descrizioni ammiccanti e retoriche. Una vena minimalista che si può descrivere in una sola parola: poesia.

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[sarà pubblicata il 22 gennaio 2021]

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