Il Cannibale

Per qualcuno l’importante è solo vincere

di Franco Ferramini - SECONDA PARTE

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Felice Gimondi, l'«eterno secondo» dietro alla stella Merckx (foto: bicitv.it)

La storia dello sport è piena di grandi atleti che hanno qualche 'imperfezione' più o meno grande nella loro carriera. Spesso accade che sportivi di grande fama incappino in storie di doping, a torto o scagionati a ragione.

Il 3 settembre 1967 il «Cannibale» vinse il campionato del mondo in Olanda. A ventidue anni, Napoli 12 giugno 1968, il nostro campione conquistò il suo primo Giro d’Italia, primo corridore belga a trionfare nella corsa a tappe italiana. Pur essendo già campione del mondo, ancora guadagnava meno di Vittorio Adorni; ma a Eddy non interessava, Adorni era suo amico e consigliere. «Correndo in maniera diversa dagli altri, fuori dalla regola e dalla tradizione, Merckx ha detto una parola nuova nel ciclismo, scoprendo nuovi orizzonti», scrisse Ciro Verratti sul Corriere della Sera il giorno dopo. Era nato un mostro, un esemplare allora quasi misterioso della razza dannata dei ciclisti, sportivi destinati alla fatica e alla ricerca dell’intelligenza tattica, votati alla necessità della lucidità pur nell’immenso sforzo prestato nel sole e nel caldo accecante, nel gelo e nella neve dei monti, nelle interminabili devastanti salite e nelle strette e pericolose discese, cavalieri su mezzi meccanici a propulsione umana; eroi osannati da tifosi vicini, spesso troppo vicini, sulle strade di tutto il mondo.

bartali coppi borraccia

Bartali e Coppi: rimane il dubbio su chi abbia passato la borraccia a chi

Uno di questi, forse il ciclista italiano più grande dopo Bartali e Coppi, era Felice Gimondi. Nato a Sedrina in provincia di Bergamo il 29 settembre 1942 da madre postina e padre camionista, è rappresentato spesso come l’«eterno secondo» dietro alla stella Merckx, ma a mio parere non è proprio così. Gimondi nel 1965, suo primo anno da professionista, vinse, sorprendendo tutti, il Tour de France. Un esordio col botto. Sembrava che lui dovesse vincere solo quando alla partenza delle gare non c’era il nostro campione belga, ma in quel campionato del mondo a Barcellona nel 1973 non fu esattamente così. Il bergamasco soffiò il titolo mondiale in volata al Cannibale e credo che Merckx, con quel suo quarto posto, accumulò una tale rabbia e delusione che per lui fu come arrivare quindicesimo, cinquantesimo o ultimo. Quella non fu solo l’occasione per Felice Gimondi di battere Eddy Merckx: una carriera, quella dell’italiano, più longeva per quanto riguarda le vittorie, con quella al Giro d’Italia del 1976, suo straordinario canto del cigno. Non si può comunque scrivere di Merckx senza citare Felice Gimondi. Quei due rappresentano uno dei duelli più famosi della storia del ciclismo mondiale, una rivalità epica al pari di quella tra Bartali e Coppi o Moser e Saronni.

merckx in lacrime

Eddy Merckx fermato per doping - intervista di Sergio Zavoli

Scrivevo all’inizio degli sportivi imperfetti e a dir la verità anche il nostro mostro di perfezione una piccola macchia nella carriera ce l’ha, un episodio controverso nel quale la storia, nella maggior parte degli autorevoli pareri degli esperti, ha scagionato quasi completamente il campione belga. Fu quella volta che tutte le televisioni del mondo documentarono le lacrime di Eddy Merckx. Il 2 Giugno 1969, al termine della sedicesima tappa, «il Cannibale» fu fermato per doping ad Albisola. Fu trovato positivo alla femcamfamina, contenuta nel Reactivan, un libero farmaco venduto anche in Italia prodotto, ironia del destino, dalla quasi omonima casa farmaceutica Merck. Il campione stava dominando il Giro e fu fermato quasi alla fine, con analogie con quello che accadde nel giro del 1999 con Marco Pantani. Un caso per il quale si rischiò perfino l’incidente diplomatico fra Italia e Belgio. Eddy Merckx fu il primo grande personaggio dello sport smascherato per doping e famose furono le immagini e l’intervista registrata dal grande Sergio Zavoli nella camera d’albergo, con il campione belga steso sul letto in copiose lacrime, ignaro di aver assunto quella sostanza proibita.

Come spesso accade, sicuramente Merckx non aveva nessuna colpa e probabilmente non avrebbe avuto alcun bisogno di quello stimolo proibito. Qualcuno gridò al complotto. Anche questo spesso accade in questi casi. Fatto sta che molti lo assolsero moralmente, anche se di fatto ormai quel Giro fu per lui perso a favore di, guarda caso, l’acerrimo nemico Felice Gimondi. Merckx quell’anno, dopo lo choc, rimontò in sella e, neanche a dirlo, vinse il Tour de France. Per la cronaca altre due volte il nostro venne pizzicato per doping: nel 1973 al Giro di Lombardia per norefedrina, anche quella volta vinse Gimondi, e nel 1977 alla Freccia Vallone per assunzione di pemolina. Ovviamente si parla di sostanze dopanti che sanno di antico, di artigianale: ai giorni nostri sarebbero quasi acqua fresca. Piccole imperfezioni subite quasi sicuramente a sua insaputa in una carriera sfolgorante come nessun altro.

In carriera tra debuttante, dilettante e professionista corse circa 1800 gare. 525 furono le sue vittorie, di cui 445 da professionista. Dal 1965 al 1978, vinse cinque Tour de France, cinque Giri d’Italia, una Vuelta di Spagna, tre campionati del mondo e diciannove gare tra quelle definite 'classiche' del ciclismo. Un 'palmares' forse unico e inarrivabile. Oltre che «il Cannibale», Merck fu definito «l’Orco», «il Coccodrillo», «Attila».  Quasi consequenziale potrebbe essere il soprannome di «Mostro», che molti avranno esclamato per definire questo eccezionale ciclista, il più forte della storia; anche se questo epiteto per lui non è mai assurto agli onori della cronaca.

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