Il mare

Una cosa (presumibilmente) divertente che non farò mai più

di David Foster Wallace

di Deborah Mangiafico

crociera costa

Il piccolo Leo piange. Non vuole andare a casa. Vuole tornare sulla nave.

Questo spot, peraltro simpatico e accattivante, avrebbe dovuto essere la campagna pubblicitaria sicuramente riuscita e vincente per rilanciare la più nota compagnia da crociera italiana, prima di venire censurato per motivi che ora non sto a raccontare. Fatto sta che ogni volta che in tv passavano le lacrime di nostalgia del piccolo Leo, non potevo fare a meno di pensare a Lui, con indosso una maglietta con il disegno dello smoking, alla cena 'formale' sulla meganave da crociera di lusso Zenith.

Su commissione della nota rivista americana «Harper’s», il mitico David Foster Wallace viene incaricato di scrivere un reportage su una vacanza extra lusso in nave da crociera (la motonave Zenith, ma che lo scrittore ribattezza subito Nadir spedendola burlescamente agli antipodi di dove l’armatore l’avrebbe voluta) e facente parte della flotta della Celebrity Cruises. La «cosa divertente che non farà mai più», appunto.

Un condominio galleggiante, opulento, luccicante e affascinante che galleggia su un mare indifferente e assente. Dalla Florida ai Caraibi e ritorno, tutto in totale e completo relax e con un divertimento che dovranno essere, a tutti i costi, garantiti. Lui, agorafobico e depresso cronico, accetta volontariamente e dietro compenso di 'sottoporsi' a questo supplizio. Armato di taccuino, vestito inadeguatamente, fermo in un molo caldissimo in attesa della motonave che accoglierà lui e altre millecinquecento persone circa, comincia la sua lucida e spietata narrazione.

 

crociera ponte

 

«Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato 'Mister' in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide». 

[…] «Ho partecipato (molto brevemente) a un trenino a ritmo di conga. […] Ho visto un parrucchino in testa a un ragazzo di tredici anni. […] Ho visto e ho sentito la puzza di tutti i 145 gatti che vivono nella villa di Ernest Hemingway a Key West in Florida. Ho visto videocamere che praticamente richiedevano un carrello; ho visto valigie fosforescenti e occhiali da sole fosforescenti con cordicelle fosforescenti e più di venti tipi diversi di ciabatte infradito. Ho sentito tamburi da banda di paese e ho mangiato frittelle di sgombro e ho visto una donna in lamé argentato che vomitava a getto dentro un ascensore di vetro. Ho tenuto il ritmo di due quarti puntando il dito verso il cielo esattamente sulla stessa disco music sulla quale odiavo puntare il dito verso il cielo nel 1977.[…] Ho visto completi fucsia e giacche rosa mestruo e scaldamuscoli viola e marrone e mocassini bianchi senza calzini.[…] Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte.[…] ho imparato come si allaccia il giubbotto salvagente sopra lo smoking e ho perso a scacchi con una bambina di nove anni. […] Ho mercanteggiato per dei gioielli senza valore con ragazzini malnutriti. Ora conosco ogni possibile giustificazione o scusa per chi spenda tremila dollari per andarsi a fare una crociera ai Caraibi. Mi sono mangiato le mani per aver rifiutato autentica marijuana giamaicana da un giamaicano autentico. […] Ho capito cosa significa avere paura del proprio water. […] Ho assaggiato il caviale e mi sono trovato d’accordo con il giudizio del bambino che mi sedeva accanto: fa schifo.[…] Ho osservato e catalogato, con ribrezzo, ogni tipo di eritemi, cheratinosi, lesioni pre-melanoma, macchie da mal di fegato, eczemi, verruche, cisti papulari, pancioni, celluliti femorali, vene varicose, trattamenti al collagene e al silicone, tinture orribili, trapianti di capelli malriusciti – insomma, ho visto un sacco di gente seminuda che avrei preferito non vedere seminuda. Mi sono sentito depresso come non mi sentivo dalla pubertà e ho riempito quasi tre taccuini per capire se era un Problema Mio o un Problema Loro».

 

crociera sdraio 1920

 

Ed è solo l’inizio di questa fantasmagorica carrellata di eccessi. Pagine e pagine di analisi acute e divertenti, ma al tempo stesso disturbanti e imbarazzanti, perché in quelle descrizioni c’è sicuramente qualcosa di ciascuno di noi, non esenti da quelle dinamiche capronesche che ci portano alla ricerca del benessere in pacchetti preconfezionati. Ecco perché dopo la risata sopraggiunge l’amarezza. 

Pur amando l’autore e tutta la sua complessa produzione, in verità non vorrei commentare questo capolavoro dell’umorismo postmoderno perché mi accorgo con orrore che molti, moltissimi, troppi commenti e recensioni sugli scritti di questo totem, di questo faro nel panorama letterario contemporaneo, sono elaborati da persone che di David Foster Wallace non hanno ahimè mai letto nulla se non le famosissime e ormai abusate citazioni sparpagliate qua e là per conferire profondità ad un qualsiasi scritto. Lo scrittore più recensito e meno letto in assoluto, si dice. Mi limiterò perciò a consigliarne la lettura, in quanto per me questo è uno di quei libri senza tempo che chiunque almeno una volta nella vita dovrebbe leggere. 

Il titolo originale di questo romanzo è sicuramente più azzeccato rispetto alla traduzione in italiano: «A supposedly fun thing i’ll never do again» ossia, tradotto, «Una cosa presumibilmente divertente che non farò mai più». Peccato eliminare quel presumibilmente, che a parer mio dice tanto dell’autore. Un uomo intelligentissimo, arguto e sensibile. Troppo sensibile.

In questo volumetto di poco più di cento pagine, nato come reportage ma somigliante più ad un trattato sociologico, la vacanza per eccellenza viene magistralmente dissacrata e analizzata nei minimi dettagli dallo scrittore e viene descritto, con una dovizia di particolari in pieno stile Wallace, tutto ciò che dovrebbe far divertire le persone a bordo di una nave da crociera extra lusso di 7 giorni ai Caraibi ma che, in realtà, rappresenta l’horror vacui dell’uomo contemporaneo. 

«Quanto tempo è che non fate Assolutamente Niente? Per quanto riguarda me, lo so con precisione. So con precisione quanto tempo è passato dall'ultima volta che ogni mio bisogno è stato esaudito senza possibilità di scelta da qualche forza esterna, senza che dovessi farne richiesta o addirittura ammettere di avere alcun bisogno. E anche quella volta galleggiavo nell'acqua, in un liquido salato, e caldo, ma poi nemmeno troppo - e se per caso ero cosciente, sono sicuro che non avevo paura e che mi stavo divertendo un sacco e che avrei spedito cartoline dicendo a chiunque "vorrei che fossi qui"». 

Non vi è giudizio nelle parole di Wallace, ma piuttosto stupore per la manipolazione delle emozioni e dei bisogni alla quale l’essere umano è capace di sottostare. E consapevolezza che dentro quel mastodontico mostro galleggiante, a volte paradossale e altre volte grottesco, ci siamo un po’ tutti noi, adagiati in un infinito oceano blu con il quale non interagiamo minimamente. Lo stile è originalissimo, geniale; caratteristico l’uso di note a piè pagina, alcune addirittura note di note a creare piccoli racconti all’interno del racconto stesso. 

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David Foster Wallace

Nato nel 1962 ad Ithaca, città a 400 km da New York, David Wallace (Foster è il cognome della madre, che aggiungerà solo in seguito) si laurea nel 1985 in letteratura inglese e in filosofia, con una specializzazione in logica modale e matematica. Il suo romanzo d’esordio, «La scopa del sistema», imperniato sulla filosofia di Wittgenstein, è stato pubblicato nel 1987 quando Wallace aveva appena venticinque anni. L’elemento che accomuna tutti i suoi scritti è la continua, quasi ossessiva, attenzione verso l’altro. Sono le necessità e i bisogni dell’essere umano che interessano Wallace, il rapporto tra sé e gli altri e quello degli altri tra di loro. Muore suicida nel 2008, all’età di 46 anni. Ci lascia in eredità, oltre a «Una cosa divertente che non farò mai più», dei veri capolavori densi di riflessioni in cui poterci perdere e ritrovare, e soprattutto la percezione che «Ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido che si possa immaginare».

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