Il silenzio

Un disturbo chiamato mutismo

Storie straordinarie senza parole

di Ivan Mambretti

famiglia Belier
La famiglia Bélier

Il silenzio non è uno stato di quiete, ma una tensione
Erri De Luca

 

La famiglia Bélier è il titolo di un recente film francese dal successo a sorpresa. Racconta di una famiglia di agricoltori, tutti sordomuti ad eccezione della figlia adolescente che, in quanto “normale”, deve fare da tramite fra i suoi congiunti e il resto del mondo. Per ironia della sorte, la giovane non solo possiede la voce, ma è pure una bella voce intonata, per cui le si offre l’opportunità di realizzare il suo sogno: diventare una star della canzone. La disabilità è qui vista in chiave positiva, nel senso che non è di ostacolo alla carriera. In un altro nuovo film, Per amor vostro, gli autori scelgono di descrivere, più che fatti veri, le tribolazioni in un microcosmo familiare della Napoli odierna: mischiano perciò i colori col bianco e nero, la musica coi rumori, l’immagine con la parola. E danno spazio al linguaggio dei segni inserendo nel cast un ragazzino audioleso.
Queste sono solo le ultime pellicole di una lunga serie di film sulla problematica dei sordomuti. Un filone che tratta l’argomento sotto vari aspetti, da quello socio-psicologico a quello funzionale alle logiche del cinema di effetto.

 

anna dei miracoli
Anna dei miracoli

Senza il dono della parola

Nel vecchio noir La scala a chiocciola di Robert Siodmak l’handicap è al servizio della suspense: nel mirino del killer vi è una ragazza muta che vive in un appartamento dove l’architettura a spirale della scala alimenta un gioco onirico di simboli sospesi fra il gotico e l’espressionismo.

Altro classico del bianco e nero è Anna dei miracoli, film claustrofobico girato da Arthur Penn con grande forza espressiva nel quale confliggono amore e compassione: un'educatrice combatte contro la caparbietà di una piccola di nove anni che non parla, non sente e non vede, e si dimostra assolutamente refrattaria alle regole minime della buona convivenza (qualche lettore un po’ attempato ricorderà l’omonimo sceneggiato televisivo del 1968 con Anna Proclemer nei panni dell’assistente sociale e la piccola Cinzia De Carolis, oggi doppiatrice).

Vi è poi un mutismo adatto ai polpettoni nostrani degli anni Cinquanta come La muta di Portici, dai fasulli riferimenti storici: la sorella del pescivendolo Masaniello ha perso la parola a causa delle torture subite per non aver voluto rivelare le trame del famoso capo dei rivoltosi partenopei.

Insieme (Togheter) è invece un esempio di free cinema visto da un’autrice italiana esule in Inghilterra, la poco nota Lorenza Mazzetti, che ci narra una triste storia: due sordomuti nei desolati docks londinesi se la devono vedere, oltre che con la loro menomazione, anche con l’incomprensione di alcuni delinquentelli da strada che buttano in acqua uno di loro. Ha voglia, il poverino, di gridare aiuto: l’amico, che pure è lì a due passi, non sente e quello finisce con l’annegare.

In Corri libero e selvaggio, ambientato sulle coste inglesi, un bimbo diventa improvvisamente muto all'età di cinque anni. Alla compagnia dei genitori, involontari responsabili del suo handicap, egli preferisce quella di un cavallo bianco. Un incontro che lo trasforma in esperto cavaliere, tanto che un bel giorno invita un’amichetta per una passeggiata. Ma i due sventurati si smarriscono nelle nebbie della brughiera e l’animale resta intrappolato nelle sabbie mobili. Quando i ragazzi vengono ritrovati, intirizziti dal freddo ma salvi, il fango sta per inghiottire il cavallo e solo con la forza della disperazione riescono a recuperarlo... così come il ragazzo recupera miracolosamente la parola. In pratica un happy end nell’happy end per un film che vuole dimostrare come il mutismo sia frutto di un’educazione sbagliata e come uno choc violento possa essere condizione per guarire.

Qualcuno volò sul nido del cuculo, famosa pellicola di Milos Forman, è una storia di straordinaria follia all’interno di un ospedale psichiatrico dove l’istrionico Jack Nicholson rappresenta l’elemento dirompente: il suo spirito indomito e l’esuberanza anarchica risultano le migliori medicine per un gruppo di degenti non così perduti al raziocinio come vorrebbero le istituzioni. Addirittura c’è un gigantesco pellerossa sordomuto che alla fine trova la volontà di emettere almeno qualche monosillabo. Il mutismo, dunque, inteso come forma di contestazione alle vessazioni del sistema (non dimentichiamoci che il film risale ai tumultuosi e politicizzati anni Settanta).

Figli di un Dio minore slider
Figli di un Dio minore

Figli di un Dio minore, ovvero quando un titolo è migliore del film, che emana melassa in quantità industriali. In un istituto per disabili i metodi di un nuovo insegnante non piacciono al direttore, mentre incontrano il favore di un'allieva addetta alle pulizie. Allieva intelligente, bella, sveglia. Le manca solo la parola. Non cerca la pietà, vuole essere capita. In una sequenza del film il professore, con una successione di gesti piuttosto plateali, cerca di far sentire alla giovane la musica di Bach: una trovata cinematografica coraggiosa e lodevole, che alla fine risulta però piuttosto goffa.

Ed eccoci al super-premiato Lezioni di piano di Jane Campion. Nei paesaggi semiesotici di una Nuova Zelanda fin de siècle una maestra di pianoforte muta giunta dalla Scozia si innamora di un maori che va a lezione da lei. Ma i loro incontri si trasformano in un imbarazzante gioco erotico, esasperato proprio dal desiderio sessuale, evidente anche se non compiutamente manifesto, della donna. E l’irruenza dei sentimenti sgretola i deboli principi morali della borghesia europea. È uno degli sguardi femminili più intensi sull'eros nel cinema. Sarebbe piaciuto allo scrittore D. H. Lawrence.

In La voce del silenzio una bambina è stata traumatizzata dalla morte del padre restauratore, precipitato dall’impalcatura di un tempio Maya. La sua crisi autistica è meglio curata da una tenace ingegnere in gonnella che non dalla psichiatra cui è stata affidata. Meglio Goobye Mr. Holland, in cui un docente di musica inventa per la comunicazione fra sordomuti un sistema di luci abbinate ai suoni. Ancora più interessante il documentario Nel paese dei sordi, dove il linguaggio dei gesti è tradotto nei sottotitoli.

Dove siete?Io sono qui di Liliana Cavani è la storia d'amore fra due ragazzi non udenti circondati dall'indifferenza degli altri. Lui, di famiglia benestante, è obbligato dalla madre a comportarsi da "normale". Lei, figlia di operai, deve lasciare la scuola che non ha insegnanti specializzati. Esperienze di vita che coinvolgono sentimenti, emozioni, sensazioni, paure e turbamenti tipici dell’età.

Con Marianna Ucria Roberto Faenza affronta il dramma della violenza sulla donna adattando per lo schermo il noto romanzo di Dacia Maraini. Un’adolescente scopre la causa del suo mutismo, tenutale vilmente nascosta dalla famiglia: fu stuprata all’età di cinque anni dallo zio materno diventato ora suo marito!

L’uomo che verrà di Giorgio Diritti si svolge sullo sfondo della strage di Marzabotto. Martina, 8 anni, non dice nulla. Gli orrori della guerra le hanno tolto la parola. Aspetta solo la nascita del fratellino, forse l’homo novus che salverà il mondo. Basterà questa speranza a ridare pian piano la parola a Martina.

Il film ucraino The Tribe, girato all’interno di un istituto per sordomuti di Kiev, nella spietata descrizione di un intreccio fra brutalità, droga e degrado, quasi esula dal tema ponendosi piuttosto come un’opera provocatoria a tutto campo.

uomo che verra
L’uomo che verrà 

Bergmann, Antonioni e l'incomunicabilità

Vi è un cinema assai impegnato che racconta il silenzio come metafora dell’incomunicabilità, un disagio tipico dell’uomo moderno che si lascia prendere ora dai riti di un successo fasullo ora dall’angoscia di un’arida esistenza. L’incomunicabilità come forma di protesta passiva, frustrazione, avversione. L’uomo che si cruccia per i tormenti privati e le pubbliche ingiustizie, per i contrasti sociali e le personali idiosincrasie. Ne sono maestri Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni, teorici della ‘fine della parola’ come mezzo per relazionarsi. Corrono gli anni Sessanta. I due registi non raccontano ricchezze e frivolezze di quel periodo, ma scavano nelle viscere umane in cerca di un male di vivere da denunciare. Le loro storie sono evanescenti e sofferte al tempo stesso. I personaggi si distinguono per lunghi silenzi, sguardi infiniti, frasi essenziali (significativi tre titoli di Bergman: Il volto, Persona e, appunto, Il silenzio). Antonioni ci descrive una comunicazione che corre sul filo della poesia, in cerca di nuove forme di dialogo fra persone e persone, fra uomo e ambiente, fra la natura e gli effetti della civiltà industriale. Uomini e donne si muovono su isole abbandonate (L’avventura), nel buio cittadino (La notte), nell’angoscia di un’atmosfera sospesa (L’eclisse), nella desolazione di una vita di lavoro ripetitiva, logorante e soprattutto non gratificante (Deserto rosso). Solo indifferenza, fragilità, insicurezza, occhi fissi sul nulla. Per Antonioni la dura realtà supererà la finzione cinematografica. Verrà infatti colpito dalla legge del contrappasso: dopo aver fatto del tema dell'incomunicabilità una bandiera, una malattia senile gli toglie proprio lo strumento base per interloquire con gli altri: la parola.

deserto rosso
Deserto rosso

Entrambi i registi fotografano a loro modo le anime umane smarrite in un mondo in continua evoluzione e in un tempo inafferrabile. Cosa racconterebbero questi due saggi se vivessero oggi, nell’era dei social? Coglierebbero certo la contraddizione di una società in cui l’uomo, paradossalmente, davanti al nuovo totem chiamato computer che consente l’interazione planetaria in tempo reale, è muto e solo. Solo con un apparecchio che pure fa miracoli. Una solitudine nuova che richiama le angosce di sempre. Una tecnologia che non risolve i problemi di comprensione.

Forse l’unico luogo dove è possibile una comunicazione non verbale - ma egualmente espressiva e fortemente motivata - è il convento. Sì, il convento, dove vige la regola del silenzio. Nella vita monastica il silenzio è condizione fondamentale per gettare un ponte verso l’eternità. In Il grande silenzio la vita in un monastero benedettino delle Alpi francesi scorre col distacco più assoluto dal mondo. Favoriti da un ambiente austero ed essenziale fatto di legno e pietra, i frati respirano spiritualità e percepiscono il significato della santità. La loro è una vita semplice, umile, candida. Lavorano la terra, giocano sulla neve, il tempo è scandito dalle stagioni. Non hanno fretta, non si preoccupano se non di servire Dio. Francescanamente. Quel Dio che risponde alle loro coscienze pulite e non invece alle nostre di corrotti cittadini schiavi del consumismo, vittime dell’ipocrisia, immersi nella materia, lusingati dal benessere, attratti dal dio denaro.

Fellini La voce della Luna
La voce della Luna

Nel suo film-testamento girato quasi tutto in notturno, Federico Fellini racconta la storia di due vagabondi, maschere ricorrenti nel suo cinema, figure ingenue e quasi eteree, che fuggono dal chiasso e dalla frenesia della modernità e percorrono la Pianura Padana ascoltando La voce della Luna che sale dai pozzi.
«Se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa capiremmo» è l'ultima battuta dell’ultimo film di Fellini. Ci sia consentito di farla nostra.

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