Quella danza dei morti che terrorizzava l’Europa

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Cadaveri che danzano tra di loro, scheletri che vagano in processioni lungo le vie spettrali di una città, macabri cavalieri zombificati che si lanciano nella tempesta al galoppo di cavalli scheletrici.
La “danza macabra” ha assunto vari volti, dal gelido Nord Europa alle soleggiate corti meridionali, ma il suo cuore nero è uno solo.
MEMENTO MORI: ricordati che devi morire.
In gran voga nel Medioevo quando tra guerre, pestilenze e aspettative di vita media la morte era una compagnia di vita quotidiana, questa singolare espressione del “memento mori” ha preso nomi e forme anche molto diverse, colorando di tinte macabre i racconti attorno al fuoco che gli anziani recitavano per i più giovani, fino a diventare un vero e proprio motivo iconografico in molte chiese e palazzi.
La danza macabra e la peste

Affreschi lugubri di questo tipo si diffusero in particolare negli anni della “Grande Peste” che si abbatté sull’Europa tra il 1347 e il 1351, in quella che a tutt’oggi viene considerata una delle più grandi catastrofi della Storia.
Al tempo, mucchi di cadaveri marcivano per le strade, tra nugoli di mosche e orde di topi, a monito del fatto che chiunque poteva tirare le cuoia da un momento all’altro. Se aveste vissuto a quell’epoca, figli, sorelle, mariti vi sarebbero stati strappati via da un momento all’altro sotto gli occhi; si ammalava il contadino come l’imperatore, l’usuraio come il cardinale: la falce di Morte non discriminava. Tutti potevano perdere la vita e, per questo motivo, l’iconografia cominciò a raffigurare per la prima volta insieme e sullo stesso piano rappresentanti delle classi sociali più diverse, che si prendevano per mano per venire trascinati in una danza grottesca da scheletri e cadaveri in putrefazione.
«O che ti serve a Dio del bon core non havire pagura a questo ballo venire ma alegramente vene e non temire poj chi nasce elli convien morire» recitano le parole riportate sul celebre ciclo di affreschi di Clusone, “Trionfo e danza della morte” di Giacomo Borlone de Buschis.

Il corteo dei morti

Molto vicina per temi e simbologie alla danza macabra è la leggenda del “corteo dei morti”, anche noto come “processione dei morti”, originaria dell’area mediterranea, che vede i defunti tornare sulla Terra in specifici momenti dell’anno allo scopo di rapire i malvagi e portarli via con sé.
Per esempio in alcuni valli alpine, come la Valsesia, si credeva che allo scoccare della mezzanotte della festa dei morti le anime evadessero dai cimiteri e da ogni anfratto delle montagne e formassero una lunga processione sovrannaturale, che s’inerpicava come un gigantesco serpente luminoso verso il Monte Rosa in cerca di penitenza.
Anche in Sardegna, durante la “notte delle anime”, gli spiriti dei trapassati davano vita alla sa reula, la processione dei morti: gli spiriti erranti dei defunti, avvolti in lenzuoli bianchi, vagavano per le vie dei paesi dalla mezzanotte fino all’alba.
Da Halloween a Natale, dalla notte di Valpurga all’estate, nei momenti speciali dell’anno, quei giorni sacri in cui il confine tra i mondi tradizionalmente si assottigliava, cortei di spiriti dell’aldilà attraversavano il mondo dei vivi, talvolta penitenti e benevoli… talvolta rapaci e letali, come nel caso della “Caccia selvaggia”.

La caccia selvaggia

Se nell’area del Mediterraneo i morti tendevano a danzare e camminare in meste processioni, tra i popoli nordici era diffusa la credenza di un vero e proprio corteo di caccia, un “esercito furioso” di spettri, capeggiato da antichi eroi defunti o da divinità, e dedito a scorribande notturne in cerca di prede umane.
Chi ha letto (ma anche visto o giocato a) The Witcher, la saga dello strigo nato dalla fantasia di Andrzej Sapkowski, lo sa bene: la “caccia selvaggia” può essere davvero terrificante. Nella saga fantasy, potenti cavalieri scheletrici inseguono alcuni dei protagonisti dando loro una caccia spietata e portando con sé gelo e morte ovunque si recano. La caccia selvaggia appare anche nella saga La Ruota del Tempo di Robert Jordan, in Shadowhunters di Cassandra Clare e in numerosi altri libri, fumetti e serie animate.
Da dove nasce questa leggenda?
Immaginate di essere dei contadini, chiusi nelle vostre case mentre fuori l’inverno succhia via la vita dai campi e dalle montagne, lasciandosi dietro carcasse di alberi morti e desolazione. Arriva una tempesta formidabile e il mondo, fuori dalle vostre quattro misere mura, viene sconquassato da venti ululanti, tuoni, fulmini e tutta la furia divina possibile.
È dalle paure ataviche dei nostri avi che nasce la Wild Hunt, ma il corteo di esseri soprannaturali che attraversa i cieli notturni a caccia di sventurati potrebbe anche avere origini sciamaniche e misteriche, in rituali aventi funzione apotropaica.
E se i racconti terrorizzati su danze, cortei e cacce demoniache fossero nati dai racconti di coloro che realmente assistettero a simili pratiche arcaiche, riti di iniziazione che prevedevano il confronto con le forze ctonie della natura più selvaggia?
È questa la tesi di alcuni antropologi, e anche tra i moderni wiccan c’è chi ricrea vere e proprie Wild Hunt durante la notte di Samhain.
Il riverbero del folklore nato attorno alla caccia selvaggia è simile ovunque, ma mentre in Scandinavia a capeggiarla era il dio Odino, nelle isole britanniche era lo spirito di re Artù, in Francia Carlo Magno, e in altri luoghi altri eroi defunti del passato: tutti alla guida di demoni e morti, suscitando devozione e terrore negli spettatori. E chi si trovava coinvolto, o ne era semplice testimone, era destinato a fare un’orribile fine, dato che non esisteva maggior sacrilegio del venire a conoscenza di quei riti segreti.
In Italia è Teodorico il Grande, talvolta chiamato Beatrik, a guidare la “Caccia morta”, anche detta “Caccia del diavolo”, spesso accompagnata da inquietanti brillii di luci di fiaccole spettrali, oltre che dallo scalpiccio degli zoccoli, dal latrare dei cani e dalle urla demoniache che si mescolavano al sibilare del vento.
Colpito a morte da un fulmine e trasportato all’inferno da un misterioso cavallo nero o, secondo un’altra versione, morto mentre inseguiva una cerva dalle corna d’oro, il grande Teodorico, in certe notti, torna dal regno dei morti per guidare il suo esercito infernale lungo le valli tempestose.
Persino nella Divina Commedia c’è traccia della “caccia infernale”, nella vicenda di Nastagio degli Onesti e del suo amore non corrisposto per una nobile di rango superiore, che l’uomo insegue all’infinito, per cavarle il cuore e darlo in pasto ai suoi cani, in una caccia senza fine.
E voi, se vi trovaste in qualche luogo sperduto tra boschi e montagne e veniste circondati da macabri individui scheletrici… vi unireste alla loro danza o fuggireste a gambe levate?

(Flavia Imperi)