La libertà

Il Carnevale nelle comunità alpine

Un'occasione per riunirsi ed esprimere la cultura popolare

di Michela Zucca

liberta carnevale

Il Carnevale è rimasta l'unica festa pagana del calendario: praticamente, l'ultima festa vera.
Sotto diversi nomi, è diffusa in tutto il mondo.

I popoli che non l'avevano, si sono affrettati a crearlo appena ne hanno avuto notizia da chicchessia: vedi gli statunitensi puritani che proibiscono il Carnevale per poi adottare la celtica Halloween dagli irlandesi in fuga dalla carestia.
A Carnevale finalmente ci si può travestire: ovvero, ognuno può assumere l'identità sognata e desiderata, senza doverne rendere conto a nessuno.
Per Carnevale, le comunità riescono ancora a riunirsi e a progettare qualcosa insieme: ci sono casi di carnevali perduti e poi ritrovati, di carnevali estivi per la gioia di turisti (questa la scusa), di carnevali esportati e poi reimportati, con un passaporto diverso (vedi Halloween).
Comunque sia, gli antichi Saturnali rimangono uno dei pochi momenti in cui si può esprimere la cultura popolare, la "civiltà della strada", sempre più penalizzata dai mezzi di comunicazione di massa; in cui si mescolano classi sociali, etnie, genti diverse: un'occasione da valorizzare in senso culturale ma anche turistico.

Le feste del fuoco e i Carnevali alpini: antichi riti in onore della Dea

Per millenni, sulle Alpi si è praticata una religione animista e panteista, in cui veniva adorata una divinità femminile che si
manifestava tramite rituali che conducevano alla trance e alla modificazione degli stati di coscienza1, molto simile allo sciamanesimo odierno. Nel corso di queste cerimonie, i "sabba", poi degradati a "feste delle streghe", il sesso svolgeva una funzione molto importante anche a livello religioso, per propiziare la fertilità non solo delle donne, ma anche degli animali e delle piante, prima fonte di sopravvivenza.
All'interno della società alpina, retta da un matriarcato di fatto (gli uomini spesso erano assenti o lontani), erano le donne a governare i ritmi di produzione e riproduzione della prole, e, prima della cristianizzazione imposta dai roghi di massa, sapevano prendersi il proprio diritto al piacere. La Chiesa era lontana o assente del tutto: la maggior parte degli insediamenti di montagna non disponeva di parroco fino a Medio Evo inoltrato; venivano impartite delle prediche di tanto in tanto, durante le visite pastorali: ma le Alpi rimasero "terra di missione" fino agli anni '20, a causa dei costumi "degenerati" dei montanari. Incesti, convivenze illegali, bestialità, orge, aborti e contraccezione, infanticidi, avvelenamenti di partner scomodi, "epidemie di ballo" e feste che duravano giorni, pellegrinaggi che di devoto avevano conservato ben poco: su questo mondo libero si abbatté la mannaia dell'inquisizione, religiosamente sancita dal Concilio di Trento e prontamente approvata dai governi di pianura.
Ma vediamo in che cosa consistevano questi riti in onore della Grande Dea, che tanto preoccupavanogli zelanti difensori dell'ordine costituto (civile ed ecclesiastico). Si tratta, essenzialmente, delle feste del fuoco. Fin dalla notte dei tempi, in certe notti dell'anno, i contadini di ogni angolo d'Europa usavano accendere dei falò, per poi danzarci intorno o saltarci sopra, per provare la propria forza. Fonti storiche riferiscono la presenza di queste tradizioni anche nel Medio Evo; e la loro analogia con quelle dell'antichità è una dimostrazione intrinseca del fatto che, per rintracciarne le origini, bisogna risalire ad epoche di gran lunga anteriori alla diffusione del cristianesimo. Anzi, la prova più antica della loro esistenza in Europa settentrionale deriva proprio dai tentativi dei sinodi cristiani, a partire dall'VII secolo, di abolirle come retaggi del paganesimo.
L'abitudine di fare dei falò, saltare sui tizzoni ardenti e condurre il bestiame fra le fiamme, o attorno ad esse, sembra essere stato praticamente universale sul Vecchio Continente; e lo stesso vale per la processioni e le gare di corsa con le torce accese nei campi, nei frutteti, nei pascoli, nelle stalle e sulle cime delle montagne.
Bisogna anche considerare il fatto che, fino a pochi decenni fa, il falò era l'unico sistema per ottenere, contemporaneamente, luce e calore per tanta gente insieme: le case contadine erano poco più che tane, e non si poteva neanche pensare di riunirsi in locali angusti, bui e affumicati, ingombri di ogni sorta di masserizie. Le fiamme, poi, potevano essere avvistate da molto lontano, e funzionavano da segnali per chi si muoveva nella notte, e arrivava magari da comunità isolate, dopo ore e ore di cammino al buio. Senza contare il valore simbolico-religioso che assumeva il fuoco, e la carica di allegria che riusciva (e riesce ancora) ad infondere in chi lo vede nell'oscurità.

fuoco

Il fuoco è visto come uno strumento essenziale per far prosperare campi, uomini e bestie, tanto in senso positivo, stimolando la crescita e la salute, quanto in senso negativo, allontanando pericoli e calamità come fulmini, incendi, ruggine, muffa, parassiti, sterilità, malattie e, non ultimi, sortilegi, malocchio e sfortuna.
I tentativi di repreressione di queste cerimonie ci misero secoli e secoli per ottenere un qualche risultato, specialmente in quelle zone montuose che, come le Alpi o i Pirenei, avevano potuto godere dei vantaggi dell'isolamento e della noncuranza rispetto ai centri di potere clericale. Sulle Alpi, per esempio, l'usanza di accendere i fuochi non è mai stata debellata in maniera totale: vedi le notti di Ferragosto sugli alpeggi lombardi. Ma non solo: in questi ultimi anni, su tutto l'arco alpino, si è ripresa l'abitudine di rifare quegli antichi falò la seconda domenica di agosto (la metà di agosto, più o meno, era il periodo prescelto per la celebrazione di uno dei quattro grandi sabba: erano eventi che seguivano il calendario lunare, e quindi variavano il giorno di anno in anno) per merito di organizzazioni come Iniziativa da las Alps e Pro Vita Alpina, in segno di indipendenza, di orgoglio per le proprie origini e di rivendicazione della cultura identitaria.

La Bagutta di Samolaco

bagutta samolacofoto: vaoli.itA Samolaco, piccolo comune della provincia di Sondrio, sulle Alpi lombarde, nessuno più faceva il Carnevale da cinquant'anni... fino a quando si decise di ricominciare a celebrare una festa antichissima, che, sotto la "vernice" cristiana, mostrava radici pagane, animiste, selvatiche: nel senso dell'arcaica religione legata alla foresta, alle popolazioni di matrice celtica, agli spiriti della natura e della montagna, ai culti della fertilità e della primavera, alla sessualità...
Questa fotografia, fornita dal Comune di Samolaco, era l'unica testimonianza che rimaneva di quella che avrebbe dovuto essere una pantomima, un vero e proprio atto di teatro da strada, che veniva recitata da personaggi che affondano le loro origini nella notte dei tempi: l'Orso, simbolo della natura selvaggia; gli Arlecchini, che niente hanno a che fare con la Commedia dell'arte ma rimandano agli spiriti della Caccia Selvaggia; la Vegia col Porta Vegia, il Dottore e il Farmacista, le Streghe, le Bestie, i Diavoli, l'Uomo Selvatico, i Bisacott (intraducibile, vuol dire "bisaccione", strano essere mascherato imbottito da foglie secche di granoturco che porta i sonagli)... tanto per citare solo i più importanti. E' la processione degli spiriti della natura, la Caccia Selvaggia, le anime dei morti furibonde contro i vivi, i mostri del mito e dell'inconscio che sono stati adorati e invocati per millenni, poi proibiti dalla Chiesa e carnevalizzati. Cioè banalizzati, ridicolizzati, ridotti a maschere ghignanti permesse soltanto pochi giorni all'anno, per sfogare istinti repressi che minacciano di esplodere se non vengono sfogati almeno qualche volta.
Si decise allora, in accordo col Comune e con tutte le associazioni del paese, di procedere ad una vera e propria "ricostruzione antropologica": ricerca delle fonti documentarie, interviste agli anziani che l'avevano vista... e poi ricostruzione dei costumi, degli atti, dei gesti, delle parole... E la decisione di attualizzare il rito, aprendo il Carnevale alle donne, visto che non esistono tradizioni autentiche e che tutto cambia.
Purtroppo la Bagutta a Samolaco si è fatta soltanto due volte da allora: rispetto ai tempi andati, oggi il rito non è più - se mai lo è stato - qualche cosa di spontaneo, che quando viene il momento si fa perché tutti sanno che cosa devono fare e ognuno si ritaglia un ruolo e un personaggio preciso, il suo alter ego o meglio la sua anima nascosta. Se non si fa più una festa da molti decenni, ne occorrono altrettanti di duro e continuo lavoro perché ritorni a costituire patrimonio collettivo e condiviso. Anni di formazione, di cultura partecipata, di crescita. Di pazienza, fatica e volontà.

1 Vedi le teorie di Margaret Murray, la prima antropologa che, negli anni '30, studiò e trattò le credenze delle streghe come una vera e propria religione, organizzata in congreghe e dotata di una coerenza simile e paragonabile, almeno a livello popolare, a quella di una qualunque chiesa contemporanea.

 

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