Tutto a fuoco

Muoversi attraverso il tempo per dare una fisionomia agli oggetti

di Andrea Basci

andrea basci bimbo

Il concetto base da assimilare, il binomio tempo-diaframma.
Se traguardi attraverso una lente si dipanano immediatamente, davanti a tutto il resto, le sequenze ordinate dei tempi legati in maniera indissolubile ad un preciso diaframma nell'attimo dell'esposizione.

Tutto lì il trucco.
Con un dito muovo lieve la ghiera e divento il signore del tempo.
Lo piego alle esigenze della profondità di campo, lo allungo di ore o lo spingo a pochi
millesimi di secondo e cerco di costruire il cristallo perfetto.
Mi muovo attraverso il tempo per dare fisionomia agli oggetti: un'ora con l'otturatore aperto, l'obbiettivo puntato verso il cielo, di notte, e il cristallo si illumina, striato dalle scie lasciate dalle stelle, solo la polare se ne sta ferma, l'unico puntino nel nero a dettare l'ordine di rotazione.
Poi accorcio tutto, chiudo le pupille dello strumento e faccio scivolare la ghiera a 1/4000 di secondo e le gocce d'acqua nella pozzanghera rimangono lì, sospese, cristallizzate anche
loro, ali che spazzano il vento e d'incanto si fermano a farsi vedere.
Un po' d'invidia per la macchina, invidia per la sua capacità di dilatare o riassumere il tempo che scorre, veloce.
Rallentarlo o farlo scivolare rapido, cullare un po' di più le sensazioni positive, le emozioni che fanno trepidare, lasciare qualche minuto in più a un bacio veloce, un secondo che non finisce mai.
Oppure in un rapido clic concentrare ore di pensieri che ti annebbiano le giornate.
Non si può.
Meglio rimanere sui tempi, sempre a cercare il diaframma perfetto e lì puoi giocare con i primi e immaginare solo su quello che vuoi vedere nel cristallo.
Il fuoco dove occorre, sposto la ghiera giù fino a 1.2 e mi concentro con i centimetri che voglio curare, tenerli isolati dal resto del mondo.
O chiudo al massimo, il limite di f/64 dove i cerchi di confusione sono quasi invisibili e il cristallo si riempie di tutto quello che vedo.

andrea basci uccelli

f/64 come il nome del gruppo di otto fotografi guidati da Adams che nel 1932, in America, cambiò le regole del gioco fotografico, o forse le iniziò a dettare con il pensiero della straigh photography, un manifesto di netta presa di posizione verso la corrente pittorialista, l'immobilismo figurativo, per concentrarsi sulla pura fotografia, essenziale, diretta, tecnicamente e stilisticamente perfetta.
Weston insisteva sul concetto che il fotografo doveva già "visualizzare la foto dentro di se prima di scattarla".
Questa è l'essenza della fotografia.
Il cristallo prima nella mente e poi mostrato.
Ed anche per i diaframmi c'è invidia, vedere solo quello che si vuole vedere.
Poi scattare.
Come sarebbe bello!
Guardo un paesaggio e fiumi di auto si trasformano.
Con l'accoppiata perfetta tempo-diaframma diventano evanescenti strisce luminose che
attraversano le strade.
Nascondere storie di uomini senza vista, che miracolo!
Affacciarsi dall'alto e vedere solo solo quei magnifici terrazzamenti, sfuocare il resto, giù
sotto, lo scempio della mente umana.
f/64, il limite del "tutto a fuoco", per sondare, passo passo, allungando il tempo, l'isolamento tecnico che lascia vedere solo quello che la mente vuole vedere, prima di scattare.
Non si può.
Il tempo è sempre irriverente e l'occhio è lì fermo, a f/64.

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