L’inverno

Assenza di luce, anche in fotografia

di Enus Mazzoni

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In genere si dice che la luce è una forma di energia. In realtà è una forma di energia elettromagnetica poco diversa dalle radioonde, da calore e dai raggi X.

La loro caratteristica comune è la natura ondulatoria che come tale si propaga, devia, si sovrappone e reagisce contro un ostacolo. Ma se chiedete a un fisico che cosa è la luce, vi risponderà che, come le altre onde elettromagnetiche la luce è in effetti una forma di materia, poco diversa da cose concrete. Le particelle di luce, dette fotoni, viaggiano in sciami all’incirca come le gocce d’acqua che sgorgano da una canna per innaffiare. Quando un fotone colpisce qualcosa, impartisce un urto percettibile, proprio come le gocce d’acqua.

 

Indice o icona?

Ci troviamo di fronte ad un apparente paradosso: la luce ha caratteristiche ondulatorie e corpuscolari. Che la fotografia sia allora un «INDICE» piuttosto che un’«icona» cambia molte cose. Abituati come siamo a considerarla per il suo valore iconico di immagine, il cui legame con la realtà è dettato dalla somiglianza, la guardiamo allo stesso modo di un dipinto o di altra forma di rappresentazione.

Ma se il legame della fotografia con la realtà è invece di ordine «indiziale» ovvero «fisicamente forzato», come specifica il semiologo Peirce, dato da una connessione materialmente prodotta dal referente, come l’impronta del piede nella sabbia, allora il nostro rapporto con la fotografia e il modo di intenderla cambia. Questo «miracolo» della luce ha significato di traccia, impronta, nonché di sintomo aprendosi dal punto di vista teorico alle suggestioni di ordine psicanalitico, filosofico che questi termini richiamano. La fotografia registra un sintomo, un segno: è uno statuto di prova, è una testimonianza muta a cui non aggiungere nulla?

 

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In inverno si contano le ore di luce

La luce invernale non è calda alle nostre latitudini ma illumina, e fa sentire profondamente la propria presenza o la propria assenza: si contano le ore di luce, si delineano le forme dei pendii, vengono rivelati camminamenti, fabbricati, manufatti. Amplifica suggestioni oniriche, visioni e limita il contatto con la terra. I pensieri non trovano l’attitudine al fare, al muoversi, all’incontro e ci si perde in giochi autoreferenziali, masturbatori che nel loro svolgersi a volte sanno portare ad una conoscenza.

 

Quel qualcosa da aggiungere: scatti autoreferenziali

In questa assenza di luce, in questo sentore di mancanza, l’idea di come mi rappresento emerge a disegnare con questa poca luce un corpo. Mi guardo e mi specchio attraverso l’obiettivo di un apparecchio fotografico sapendo che quello che mi rende è oggettivo:  è la mia impronta. Mi spoglio, mi metto nudo in un contesto dove la luce è stata preparata a colpire il bersaglio, dove la presenza di altri oggetti è verificabile solo se resi visibili. Guardarsi da fuori ha un gusto voyeuristico e permette di  ampliare l’attenzione sulle forme, sulle proporzioni, su ciò che si vuole evocare. Corpo, pelle, sesso, muscoli, spalle, gambe, fianchi, mani: questi sostantivi danno una sintesi di quello che mostrano le immagini. Ma ho qualcosa da aggiungere a queste tracce, alle impronte lasciate sulla pellicola.

 

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Una conoscenza ulteriore

Soffro l’inverno e lo amo allo stesso modo. Lo soffro per la mancanza di luce, e lo amo per la pressante e pesante presenza degli estremi meteorologici. E la mia macchina fotografica è fedele compagna nel rappresentare il gelo, la penombra, la neve, la nebbia. Ho voluto creare alcuni trittici ed alcuni dittici perché la mia relazione istintiva con il mondo naturale non poteva che essere registrata in questo modo.

 

Siamo estranei a questo mondo

Là fuori non esiste un habitat per noi. Non un luogo che ci è proprio esiste su questa terra: sempre dobbiamo modificare, non un centimetro quadrato della nostra pelle è il risultato di una speciazione. Io sono un ospite e con un rispetto al limite del timore dispiego le mie energie all’ascolto e al godimento di un mondo che è capace di esserci indifferenti. Queste immagini assurgono a testimonianza di questa verità assoluta. Sono vulnerabile, sono insignificante. So che anche questo inverno avrò fatto il possibile per rendere confortevole la mia casa, per ripararmi dal freddo con il vestiario, per attraversare come è sempre stato fatto anche questa stagione.

A chi devo tutto questo? Chi ha cominciato questa storia? Chi ha creato un essere così indifeso e vulnerabile così arrogante e presuntuoso? Perché abbiamo scordato il principio? Chi vuole che le nostre vite debbano avere senso solo nella contraddizione? 

Una stella ora bassa all’orizzonte è il corpo celeste che ci tiene in scacco. A tanta energia dobbiamo la nostra esistenza senza che ci abbia creato o modellato. Ed io che sono un essere pensante rimango soggiogato dal flusso di questa energia che in inverno è mancanza. È assenza di spinta, l’occhio mi duole quando cerco in cielo la nostra stella mentre le tenebre mi rimandano alla materia che rappresento con il mio corpo nudo che guardo con un cuore vuoto che ha sete di ritrovare gli incontri, gli incontri in natura.

 

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Bibliografia

  • Rosalind Krauss, «Teoria e storia della fotografia», 1990, Bruno Mondadori
  • Fotografie di Enus Mazzoni
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