La morte

Ballata macabra del boia

Messaggero di civiltà, il cinema si è sempre battuto contro la pena capitale

di Ivan Mambretti

Norman Mailer 1988 1024

Norman Mailer, www.top100songs.tv

"Ci sono degli stati che si incaricano di uccidere chi ha ucciso, con ciò ritenendo di educarci a non uccidere". Norman Mailer

Essere e non essere più. Due condizioni fondamentali e contrapposte, divise da un filo sottile e impercettibile. La domanda è: che cosa c'è di peggio dell'attesa di non essere più? Dell'attesa, ad esempio, di essere giustiziati? Di quella collocazione provvisoria in una spoglia anticamera dove tutto odora di morte? Di cose estreme? Di eternità? È proprio vero. La pena capitale scatta prima di morire. Sembra che il giudice abbia premeditato di infliggere al condannato due morti: quella di una angosciosa sospensione e quella del definitivo distacco. Dalla luce alle tenebre. Dalla coscienza al nulla. La legge che uccide due volte chi forse ha ucciso una volta sola appare più crudele dell'omicida stesso e anche peggio dell'antica legge del taglione, che non pretendeva di cavare entrambi gli occhi a chi aveva accecato un suo simile di un occhio solo. I sostenitori della pena di morte dicono che essa funge da deterrente. Ma se i governi davvero credessero a questo, come mai, per essere ancora più efficaci, non espongono le teste recise, i petti straziati dalle fucilazioni, i corpi abbrustoliti dalla corrente elettrica? Preferiscono invece tenere un profilo basso, spinti da una parvenza di pudore, da un vago rimorso, dalla consapevolezza che la pena di morte è legale ma forse no, visto che va a ledere l'universale diritto alla vita. Diritto che vale per qualsiasi essere umano, quali che siano i suoi reati. Ma tant'è. Il macabro rituale si ripete uguale a se stesso anche in società moderne e avanzate come gli Usa, nell'indifferenza generale, con la protesta di sparute minoranze e l'indignazione di maniera degli stati che a una simile barbarie hanno rinunciato.

dialogo morte

Decalogo, di Kieslowski culturevisuelle.org

E pensare che le nostre coscienze ci parlano chiaro. Ce lo insegna anche Kieslowski nel suo famoso Decalogo che la vita è un valore inestimabile. Non la vita in senso astratto, ma quella materiale di ogni singolo individuo. Ci si dovrebbe chiedere non se il condannato è colpevole o innocente ma se, colpevole o innocente, sia giusto eliminarlo fisicamente. Il nostro senso di colpa non deve derivare dal timore che sia ucciso un uomo innocente, ma dal semplice fatto che sia ucciso un uomo: se solo l'umanità rispettasse il quinto comandamento, "non ammazzare", la piaga della pena di morte sarebbe già stata sanata da un pezzo. Ma non è così. Nella storia del cinema il tema della pena capitale è ricorrente. Basta pensare al regista francese Andrè Cayatte (Giustizia è fatta, Siamo tutti assassini), che essendo anche avvocato ha denunciato nei suoi film le pecche del sistema giudiziario del suo Paese, dove la pena di morte è stata abolita solo nel 1981.

Il saggista George Steiner sostiene che sono due i casi di pena capitale che in occidente hanno influenzato cultura, religione, filosofia e politica: la morte di Socrate e quella di Cristo. La cicuta e la croce. Il veleno e la tortura. Se la morte di Socrate è stata raccontata in modo significativo solo da Roberto Rossellini nel suo periodo televisivo-pedagogico, il cinema cristologico ha una lunga tradizione. Ma non è il caso di parlarne altrimenti, per par condicio, dovremmo soffermarci su tutti i film storici che si concludono con celebri condanne a morte: dalle medievali cacce alle streghe (vedi le varie Giovanna d'Arco) alla rivoluzione francese (La primula rossa, Danton), dall'olocausto (Schindler's List, La Rosa Bianca) alle purghe comuniste (Le vite degli altri, Katyn) o alle esecuzioni sotto il fascismo (Il generale Della Rovere, Il processo di Verona). Caso interessante il film di Fred Zinneman Un uomo per tutte le stagioni, che racconta la brutta fine di Thomas More, l'integerrimo consigliere di Enrico VIII oppostosi alla volontà del re di divorziare per impalmare la cortigiana Anna Bolena, a sua volta finita sotto la scure del boia (Anna dei mille giorni).

parola giurati Sidney Lumet

La parola ai giurati, di Sidney Lumet, it.film-cine.com

Di forte impegno civile è senz'altro La parola ai giurati di Sidney Lumet, in cui dodici rappresentanti del popolo, chiusi in una stanza del tribunale, devono pronunciarsi sulla sorte di un ragazzo accusato di parricidio. Per undici di loro è colpevole. Uno solo lo ritiene innocente ed è necessaria l'unanimità. Col rigore dei suoi ragionamenti, l'innocentista porterà gli altri sulle sue posizioni. In La confessione di Costa-Gavras un dissidente cecoslovacco che ha partecipato alla resistenza francese viene deportato a Mathausen. Tornato in patria, fa carriera politica ma, caduto in disgrazia presso il regime di Stalin negli anni difficili della guerra fredda, viene arrestato e relegato in un'orrida galera dove, vessato fisicamente e psichicamente, finisce per ammettere colpe che non ha commesso. Sarà simbolicamente liberato nel 1968, l'anno della "primavera di Praga".
Di atmosfere pirandelliane si circonda il film di Georges-Henri Clouzot La verità, in cui una ragazza accusata di omicidio si toglie la vita prima che il giudice pronunci la sentenza. Casco d'oro di Jacques Becker ci trasporta dalle aule dei tribunali ai marciapiedi della Parigi primo Novecento. Simone Signoret, avvenente dama di facili costumi, è coinvolta in una focosa storia proletaria d'amore, d'amicizia e di gelosia che si consuma nel delitto d'onore. Quando per il condannato scocca l'ora della mannaia, il popolo dei curiosi si contende un posto in prima fila per godersi lo spettacolo e la donna spia sgomenta dalla finestra di un alberghetto. Il film ebbe grande successo, ma non tratta esplicitamente le problematiche legate alla pena di morte, essendo questa funzionale alla sola soluzione romanzesca. Diverso il caso di L'amore che non muore di Patrice Lecont. Siamo nell'Ottocento su un'isola canadese. Un uomo è in attesa di essere ghigliottinato, ma la ghigliottina non c'è: bisogna farla arrivare dalla terraferma. Nel frattempo gli abitanti hanno modo di rendersi conto dell'umanità del condannato. Infatti, dal momento dell'arresto sino al giorno dell'esecuzione trascorre un lasso di tempo così lungo da trasformare il delinquente in un'altra persona. Il che rende a quel punto paradossale l'applicazione della pena. Il film richiama Cesare Beccaria e il suo trattato "Dei delitti e delle pene", dove il giurista milanese del Settecento sottolinea che la pena potrebbe avere un senso solo se prossima al reato.

Due classici americani degli anni Trenta sono Furia di Fritz Lang e Gli angeli con la faccia sporca di Michael Curtiz. Nel primo un uomo arrestato per un delitto che non ha compiuto rischia di morire nell'incendio del carcere, appiccato dalla folla inferocita (sul tema del linciaggio, ricordiamo anche Linciaggio di Joseph Losey e La caccia di Arthur Penn). Nel secondo film un prete convince un gangster, suo compagno d'infanzia ora condannato alla sedia elettrica, a fingere di morire da vigliacco per deludere i ragazzi del quartiere che hanno fatto di lui un idolo.

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Monsieur Verdoux, di Charlie Chaplin, www.tasteofcinema.com

Con Monsieur Verdoux Charlie Chaplin reinventa la figura di Landru, antesignano dei serial killer. Un impiegato di banca viene licenziato dopo meritevole carriera. Ma tiene famiglia ed è assillato dal pensiero della povertà. Si mette allora ad adescare vedove ricche, le sposa e le sopprime per impadronirsi del denaro. Finito nelle mani del carnefice, osserva come i suoi uxoricidi siano poca cosa di fronte ai genocidi della storia. Non voglio morire è un film di Robert Wise con Susan Hayward, ma è anche il grido di una donna innocente finita nella camera a gas del carcere di San Quintino per un presunto delitto passionale. Uno psicanalista la dichiara incapace di atti criminosi, ma i magistrati respingono la richiesta di commutazione della pena, sull'onda del facile giustizialismo dell'opinione pubblica. Esempi di film con pene capitali "rosa" sono anche Difesa a oltranza, dove un solerte avvocato non riesce a salvare la bella patrocinata Sharon Stone, e Monster, con la non meno bella Charlize Theron lombrosianamente ridotta dal trucco a mostro in gonnella.

Orizzonti di gloria è un'opera antimilitarista del maestro Stanley Kubrick. Durante il primo conflitto mondiale ambiziosi comandanti francesi provocano un massacro di soldati in uno scontro già dato per perso in partenza. Un generale ordina persino all'artiglieria di sparare sui suoi stessi uomini per obbligarli a uscire allo scoperto. Ma l'ordine non viene eseguito. Da qui la convocazione della corte marziale e le conseguenti punizioni "per dare l'esempio": la fucilazione di tre soldati scelti a caso. È l'impari lotta tra ragione e istinto, poteri incontrollati e popolo indifeso, alti ideali e bieco cinismo. Raccapricciante la sequenza in cui uno dei tre militari da fucilare, già in fin di vita, viene portato al palo in barella! Consolatorio invece il finale: i soldati in osteria smettono di fare baldoria e si uniscono commossi al canto malinconico di una intimorita camerierina. Dunque la musica che unisce, la musica messaggera di pace, la musica capace di tirare fuori il buono che c'è in noi (i soldati mandati al macello per soddisfare esigenze di carriera e di gloria dei superiori ispireranno anche il nostro Francesco Rosi in Uomini contro, anch'esso ambientato fra le trincee della Grande Guerra).

Changeling di Clint Eastwood è la storia di una madre a cui rapiscono il figlioletto. La polizia locale, che non gode di buona reputazione, simula il felice esito della ricerca consegnando alla donna un bambino non suo. Gli somiglia, certo. Ma come pretendere di ingannare una mamma? Le autorità insistono nella loro versione sino a far internare la cocciuta donna, che però non si arrende e lotta contro l'arroganza di un potere corrotto e inetto. Da brivido la cura meticolosa con cui il film mette in scena l'impiccagione del presunto assassino. Monster's Ball di Marc Forest, trasportandoci nel profondo sud degli States, rivela l'amaro connubio fra pena capitale e razzismo, così come implicazioni razziste si trovano in Il miglio verde di Frank Darabond, dove peraltro l'argomento è annacquato da elementi fantasy cari a Stephen King, da cui la pellicola è ricavata.

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Dancer in the Dark, di Lars Von Trier michellecho.wordpress.com

In Dancer in the Dark di Lars Von Trier un'operaia quasi cieca sta mettendo via i soldi per far operare il figlio, minato dalla stessa malattia. Quando un poliziotto le ruba il denaro, la situazione precipita: la donna si vendica uccidendo l'agente e viene perciò condannata a morte. Potrebbe affidarsi a un buon avvocato, ma non se lo può permettere: i soldi le servono per l'operazione del figlio e preferisce farsi impiccare.

Pietra miliare del genere è il film di Tim Robbins Dead Man Walking con uno strepitoso Sean Penn. La traduzione del titolo è "uomo morto in marcia", lugubre motto scandito da uno degli aguzzini che accompagnano il condannato al patibolo. Siamo nello stato della Louisiana. Un giovane in attesa dell'esecuzione chiede e ottiene l'assistenza di una suora. Il condannato è spavaldo e sprezzante, ma quando cade in preda alla disperazione, le sue reazioni mettono in crisi la suora stessa, recatasi intanto a casa della madre del detenuto per documentarsi sui suoi trascorsi. La suora non vuole lasciare nulla di intentato e va a cercare anche i familiari delle vittime, che rigettano le ragioni del perdono e non comprendono come mai una religiosa si prenda a cuore le sorti di un criminale. Ma alla lunga le parole della suora e della Bibbia che lei gli ha fornito cominciano ad avere effetto nell'animo del peccatore. Legato al lettuccio come un Cristo in croce per essere sottoposto alle iniezioni letali, le sue ultime parole sono il riconoscimento delle proprie colpe, la richiesta di perdono e una dichiarazione di affetto per la sua tenace assistente spirituale. La lunga sequenza dell'agonia ci rivela tutto l'orrore di una legge disumana. Il giovane chiede aiuto al di là del vetro, mentre gli infilano gli aghi nella carne. Sono freddi e meticolosi i suoi carnefici: da semplici esecutori di ordini, sanno di non avere responsabilità. Ma il film si apre alla speranza. Un anziano prega nell'immagine finale, quasi invisibile sullo sfondo. È il padre di una delle vittime. Fautore della vendetta di stato, ora le sue convinzioni vacillano. Ed è di buon auspicio che in uno come lui il seme del dubbio abbia attecchito.

 

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