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Mute emozioni
La musica può dare voce musicale al silenzio
immagine: videotage.org.hk
Potrebbe sembrare un paradosso, ma qualcuno ha detto che il silenzio è parte integrante del mondo dei suoni.
Silenzio e musica! Assenza di suono e insieme di suoni! Queste considerazioni ci portano a prendere in esame il linguaggio o, più precisamente, la diversità dei linguaggi: la musica che è un linguaggio universale e la parola che è un linguaggio parlato. Nel primo caso, suoni e silenzi costituiscono le melodie, nel secondo suoni e silenzi costituiscono le frasi.
Il suono e il silenzio si possono vedere come le due facce della stessa medaglia: infatti nella teoria musicale, nella scrittura musicale, sono considerati sia i simboli che rappresentano la durata dei suoni (breve e semibreve, minima e semiminima, croma e semicroma...) sia quelli che rappresentano i silenzi (pause e intervalli).
Il valore delle note, cioè la loro durata, le pause e gli intervalli fra una nota e l’altra o fra una frase musicale e l’altra, il tempo voluto dal compositore (adagio, allegro, con fuoco, presto, tranquillo, andante, ecc.) sono tutti aspetti che concorrono a dare espressività alla composizione. I compositori hanno sempre usato tutti questi elementi per dare alle loro opere il significato che volevano attribuirgli, per dare voce alle proprie sensazioni, alle proprie emozioni: gioia, dolore, nostalgia, malinconia, amore... Mi viene in mente la musica di Mozart che rappresenta l’esempio più alto e geniale di come si possano trasmettere le emozioni umane utilizzando i suoni e i silenzi.
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«Dare voce al silenzio», anche se questa espressione può apparire contraddittoria, è uno dei tanti tentativi che hanno fatto molti compositori, soprattutto dal 1900 in poi. Un famoso esempio è il celebre coro a bocca chiusa della Madama Butterfly di Puccini, anche se, più che di un’assenza di suono, si tratta di un’assenza di parola. Tanti tentativi tutti volti alla ricerca di nuove opportunità e possibilità espressive per non sottostare sempre alle rigide regole del passato. Cito «Cantare in silenzio» di Salvatore Sciarrino (1947) o «Le pause del silenzio» che Gian Francesco Malipiero (1882-1973) scrisse nel 1917. Addirittura, per Anton Webern (1883-1945) sono i suoni a mettere in evidenza i silenzi.
Ma Il più grande di tutti, in queste ricerche, è stato sicuramente il musicista americano John Cage (1912-1992) con la sua partitura del 1952 «4.33», un pezzo rivoluzionario, una vera e propria provocazione! L’orchestra è seduta davanti al direttore in assoluto silenzio. Questi, quando lo riterrà opportuno, farà partire un cronometro posto sul leggio e darà inizio al brano. Dopo 4 minuti e 33 secondi il direttore fermerà il cronometro e con un gesto chiuderà l’esecuzione. La «musica», in quel lasso di tempo è rappresentata da bisbigli, colpi di tosse, scricchiolii e tutti quegli accidenti che compongono le attese nelle sale da concerto.
Le pause, gli intervalli, non sono solo quelli indicati sugli spartiti, ma anche le sospensioni fra un movimento e l’altro di una composizione (sinfonia, concerto, quartetto, ecc.): anche questi sono silenzi che per i musicisti servono in un certo senso a riprendere fiato e per gli ascoltatori a ripercorrere emotivamente quello che hanno appena ascoltato e a preparare lo spirito a quello che seguirà.