Un narciso bianco all'inferno

La delicatezza sonora con la scimmia sulla spalla

di Franco Ferramini

Chet Baker 1962

Chet Baker

«Un giorno, durante l’estate del ’52, trovai un telegramma sotto la porta di casa. Me lo mandava Dick Bock, mi pare, e diceva che Charlie Parker stava facendo audizioni ai trombettisti per alcune date nei club della California.

L’audizione avrebbe avuto luogo quel giorno stesso alle tre al Tiffany Club. Mi precipitai, arrivando un po’ in ritardo, e sentii Bird che improvvisava su un pezzo con qualche trombettista. Facendomi largo a spintoni nell’oscurità del club, riuscii a intravvedere Bird sul palcoscenico che volava su un blues. Mi sedetti per un paio di minuti e mi guardai attorno. Riconobbi molti trombettisti e un sacco di altra gente che conoscevo che aveva saputo in qualche modo che Bird era lì. Vidi qualcuno salire sul palco e dire qualcosa a Bird. Mi sentii a disagio e molto nervoso quando chiese alla folla se io fossi nel club e se avessi voluto salire a suonare qualcosa con lui. Aveva passato in rassegna tutti quegli altri ragazzi, alcuni dei quali avevano molta più esperienza di me e sapevano leggere qualsiasi cosa gli mettessero davanti. Suonammo due pezzi. Il primo era «The song is you», e poi una canzone blues scritta da Bird e intitolata Cheryl, in tonalità di sol, che fortunatamente conoscevo. Alla fine di «Cheryl» lui annunciò che l’audizione era finita, ringraziò tutti quanti per essere venuti e disse che avrebbe assunto me per le serate». Queste righe sono tratte da «Come se avessi le ali», una biografia scritta nella forma di 'appunti di memoria' della leggenda del jazz Chet Baker, una delle figure più affascinanti e misteriose della storia di questo genere musicale.

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Charlie Parker

In questo episodio si realizza l’incontro tra una figura già leggendaria, 'Bird' Charlie Parker, e un giovane bianco promettente di 23 anni ad inizio carriera, un ragazzo che comunque nella pur ancora breve vita vissuta fino ad allora ne aveva già viste tante di cose, belle e brutte, paradiso e inferno. Aveva un enorme talento naturale Chet, in bilico tra la perfezione musicale sul palco e in sala di registrazione e la perdizione, l’inferno di una vita sregolata nella quale al di là delle note c’era quasi esclusivamente il desiderio di estraniarsi con droghe di tutti i generi. Colpisce di lui la delicatezza del suo modo di cantare e suonare la tromba, in contrasto con la durezza del suo ricorso continuo a stupefacenti che lo portarono spesso anche in carcere. Una vita appunto, dal titolo della sua biografia, in continuo alternarsi tra le ali di un vero angelo sulla terra e la discesa a capofitto tra le fiamme degli inferi, di un Satana chiamato droga e perdizione. Ascoltarlo quando canta e suona «My Funny Valentine», una 'ballad' classica del jazz internazionale, fa sorgere spontaneo il dubbio su come possa essere quella voce e quella tromba la stessa di chi ogni giorno per necessità impellente deve avere a che fare con violenti spacciatori di tutti i tipi, personaggi di dubbia moralità, vicoli bui e degradati di grandi città del mondo e luridi bagni di locali di buona o infima qualità.

Chesney Henry ,'Chet' Baker nacque a Yale, in Oklahoma, il 23 dicembre 1929. Figlio di un chitarrista, il padre amava il trombone e ne comprò uno al figlio. Però quello strumento era troppo grande per lui, così Chet optò per la tromba. A sedici anni lasciò la scuola per arruolarsi nell’esercito, suonando nella banda militare. Due anni dopo tornò a casa, ma nel 1950 tornò di nuovo ad arruolarsi e a suonare con le truppe americane, a San Francisco. Mentre Chet era arruolato, suonava anche in vari club jazzistici nelle città dove si trovava. La sua carriera militare, bisogna dire che già lì cominciarono a manifestarsi dei primi segnali di 'irregolarità', finì comunque molto presto perché ritenuto inadatto per problemi psichici. Gli fu dato il congedo definitivo e, dopo varie esibizioni in cui cominciava ad ottenere una certa popolarità, arrivò l’incontro sopra descritto con l’immenso Charlie Parker, quando Bird avvisò i già grandi trombettisti Dizzy Gillespie e Miles Davis che «Questo piccolo gatto bianco qui fuori vi darà dei problemi»: era arrivato un potenziale, pericoloso rivale per quei due.

Gatto o Narciso? Chet era bello, bello e dannato come James Dean, e di donne ne ebbe tante nella vita. Il suo rapporto col genere femminile fu sempre particolare, cercava un senso di protezione o compagne occasionali, sfruttando la propria bellezza, ma anche la dolcezza della sua musica e della sua voce calda e suadente; le donne invece incappavano quotidianamente in una difficile convivenza con un impenitente drogato.

Nel 1952 suonò per un anno con Gerry Mulligan e da lì a un paio d’anni Chet diventò uno dei musicisti più amati al mondo, con la conquista del primo posto nel prestigioso referendum della rivista «Down Beat» nel 1954. Era una stella lucente nel firmamento internazionale del jazz, ma tante volte Chet si trovò 'dalle stelle alle stalle' e la polizia cominciò a prenderlo di mira. La morte di un suo amico musicista, ucciso da una overdose nel 1955 in una camera d’albergo di Parigi, lo gettò in una profonda crisi, dalla quale ne uscirono periodi alternati di grande creatività e profondo abisso, tra lampi di bellezza alla tromba e alla voce e l’inferno del carcere in Germania, dopodiché approdò in Italia, nel 1959.

Qui da noi finì per passare un anno nel carcere di Lucca ma, paradossalmente, pare che questo periodo gli abbia fatto bene: si disintossicò completamente, studiò l’italiano, si applicò a fondo nello studio di perfezionamento della tromba e contattò quelli che dovevano formare un suo gruppo per suonare in Italia all’uscita dal carcere. Chet Baker in Italia diventò un personaggio da rotocalchi, tra bellissime donne che se lo contendevano, i vip della Versilia affascinati da questo personaggio bello, geniale e dannato con la sua vita al limite tra medici compiacenti con false ricette e droga a manetta. Il suo essere 'ripulito' durò poco, venne arrestato di nuovo in Germania e da lì iniziò a girovagare tra diverse nazioni, sempre controllato a vista dalla polizia, fino a un misterioso episodio nel 1968 a S. Francisco in cui gli fratturarono la mascella e perse tutti i denti.

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Chet Baker, 1983

Sembrò la fine definiva del nostro musicista perché ovviamente in quelle condizioni non riuscì più a suonare la tromba. Fu costretto a lavorare per sedici ore al giorno in una stazione di servizio, per tre lunghissimi anni non poté più emettere neanche una nota dal suo strumento. Poi, grazie all’aiuto di Dizzy Gillespie, cominciò il lento e difficoltoso ritorno sulla scena di New York, suonare la tromba con una instabile dentiera non è per niente facile. Significative sono le parole del grande trombettista Enrico Rava, suo allievo e amico: «Quella sera mi precipito al locale, le luci sono basse, rossastre, lo vedo da lontano… sì, è proprio lui, uguale identico, mi avvicino, mi riconosce, un abbraccio…» e ancora: «…il suo volto bellissimo è ancora lì, nascosto da una rete fittissima di rughe, come il volto di un vecchio capo indiano, gli occhi sono stanchi, sono occhi che hanno visto troppo orrore…».

Chet Baker suonò ancora per anni, in giro per il mondo, stretto tra il bisogno di soldi per le dosi sempre più forti di droga di cui aveva bisogno e la necessità di offrire al mondo le sue note sublimi, inconfondibili, 'soffiate', dolci e quasi sussurrate nella fatica fisica di suonare il suo strumento, che spesso diventava insormontabile a causa di frequenti e dolorosissimi herpes alle labbra. In quei casi Chet cantava, e la sua voce era comunque inconfondibile come la sua tromba. Paradiso e inferno, dicevamo, fino a quella notte del 13 maggio 1988 ad Amsterdam, in cui Chet Baker volò da una finestra di un alberghetto e lì fini sul colpo la sua straordinaria esistenza nel mondo dei vivi. Suicidio? Omicidio? Fatalità? Mai si saprà con certezza, di sicuro quella notte il mondo perse uno dei grandi della storia del Jazz in un modo assurdo, come spesso assurda è stata la sua vita.

Per quanto mi riguarda, ho spesso in mente quelle poche note, quel dolce fraseggio come accompagnamento nella bellissima canzone «Rosanna» del 1987, cantata dal nostro bravissimo musicista e cantautore Nino Buonocore. Quasi un saluto, un dolce, brevissimo e semplice addio al nostro paese, nel quale nonostante tutto Chet Baker è riuscito a vivere qualche frammento di serenità e di 'dolce vita'. Un sodalizio che ha generato altre splendide collaborazioni: mi permetto di suggerire su Youtube «Chet Baker - The last session - Live with Nino Buonocore».

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