La tecnologia

OK le macchine, ma salviamo l’uomo

Il rischio? Diventare strumenti dei nostri stessi strumenti

di Ivan Mambretti | seconda parte |

Truman show stairs 1280

The Truman Show di Peter Weir

Risale alla seconda metà degli anni Novanta la concentrazione del cinema USA sulla rivoluzione che si stava consumando con le nuove tecnologie.

Bill, Steve e Mark: miliardari per caso

Una rivoluzione che, alla luce degli odierni sviluppi, non è esagerato definire antropologica. Prendiamo il caso di The Truman Show (1998) di Peter Weir, dove Jim Carrey è l’americano medio che trascorre una vita tranquilla fino al giorno in cui scopre di essere da sempre al centro di una messinscena mediatica: una soap opera allestita in un mega-studio televisivo. Lui è l’unica persona 'vera', praticamente una vittima. Gli altri tutti attori. Torna la profezia orwelliana del Grande Fratello, incolpevole artefice, per le tv di tutto il mondo, dei reality show.

I pirati di Silicon Valley, film-tv di Martyn Burke, è la cronaca romanzata di come i giovani studiosi Steve Jobs e Bill Gates, già a metà anni Settanta, realizzarono il personal computer in una corsa culminata nel 1984 con l'immissione della Apple sul mercato e della successiva vittoria della Microsoft di Gates sulla 'mela rosicchiata' di Jobs. Nel terzo millennio a Jobs sono stati dedicati altri due film. Jobs (2013) di Joshua Michael Stern racconta gli anni del trionfo della Apple. Nel successivo, intitolato Steve Jobs (2015), di Danny Boyle, si vedono invece da vicino le discussioni, le liti, i retroscena che hanno accompagnato l’invenzione. Più curioso il film di David Fincher The Social Network (2010), che descrive le non poche beghe legali che il geniale Mark Zuckerberg dovette affrontare alle origini della sua clamorosa invenzione, Facebook, prima di diventare quel fenomeno di 'distrazione di massa' che tutti sappiamo. Come si addice a chi fa miracoli, questi guru dell’informatica sono diventati i paperoni del mondo.

E ancora, nel 1995, non sfuggì ai patiti del genere (al momento in numero limitato) il film Hackers di Iain Softley, sulle insidie della pirateria informatica, perché sì, come già in tutto il cinema tradizionale, anche il genere tecno si fonda sull’eterna lotta fra il bene e il male (si sono però ridotte, ahinoi, le certezze che la spunti il bene). Qui i buoni sono alcuni ragazzi già pratici di computer che all’inizio ci scherzano sopra, ma quando si accorgono che gli adulti ne fanno strumenti di truffa si attrezzano per contrastarli.

Snowden (2016) di Oliver Stone racconta l’esperienza allucinante di un personaggio reale, una figura controversa, responsabile di aver violato i sistemi di sicurezza dei servizi segreti americani. Il giovane Snowden, nel 2013, lascia l’impiego alla National Security Agency e vola a Hong Kong per un appuntamento segreto con tre operatori della comunicazione. Scopo dell’incontro: rivelare i giganteschi programmi di sorveglianza elaborati dagli USA. Egli ha infatti scoperto che una montagna di dati viene digitalizzata, cosa che rende tracciabili non solo governi stranieri e esponenti del terrorismo internazionale, ma anche normali cittadini. Disilluso dal losco lavoro che si cela all’interno dell’intelligence, lo scienziato ha così trovato il coraggio di raccogliere migliaia di documenti per sventare con l’aiuto dei media la colossale violazione della privacy.

Disconnect (2012) di Henry-Alex Rubin è un intreccio di storie sulla ricerca di contatti umani in un mondo dove ormai il mondo social è più credibile di quello fisico. Una coppia di sposi in crisi vittima degli hackers, un ex poliziotto con figlio internet-dipendente, una giornalista TV che approfitta della rete per 'irretire' un giovane... Un film che mescola dramma, thriller e azione, come pure S.Y.N.A.P.S.E. (2000) di Peter Howitt, in cui un estroso informatico assunto da una potente compagnia di software si accorge che qualcosa non va: nella grande azienda dove sogna di fare carriera si rubano idee a chi le ha, poi lo si elimina.

Il quinto potere (2013) di Bill Condon ruota intorno alla vicenda del fondatore di Wikileaks Julian Assange. Deciso a puntare i riflettori sulle storture del sistema, si serve di una piattaforma che diffonde informazioni riservate su luoghi reconditi e trame oscure, su segreti politici e crimini industriali. E quando il messaggio viene reso di pubblico dominio, è scandalo globale. Wikileaks giunge buon ultimo a dimostrare quanto siano ormai superati i media tradizionali.

 

L’amore ai tempi del web

Guai se al raziocinio della mente umana non si opponessero le ragioni del cuore. Uno dei primi film che tentano di descriverle attraverso i nuovi prodigiosi mezzi può essere considerato C'è posta per te (1998), commedia sentimentale di Nora Ephron, dove la posta, ovviamente, è già quella elettronica. Tant’è che in alcune locandine la 'a' di 'posta' è scritta con la nuova lettera detta 'chiocciola'. Tom Hanks e Meg Ryan si odiano per motivi professionali ma, incontratisi virtualmente in internet sotto falsi nomi e quindi ignorando le rispettive identità, cominciano a sviluppare schermaglie amorose nel silenzio eloquente delle chat e delle mail. Con questa tenera dimostrazione di come una love story nata al computer possa finire nella vita vera, la Ephron sdogana gli incontri online invitandoci con garbo tutto femminile a vincere certi pregiudizi. Quasi a volerci rivelare che la complessità della vita sta ormai tutta in un clic.

Con un salto in avanti di una ventina di anni troviamo una storia non dissimile in Il mio profilo migliore di Safy Nebbou, dove una matura insegnante francese (la sempre interessante Juliette Binoche), divorziata e con prole, approfitta dell’anonimato garantito dal PC per delinearsi un finto profilo Facebook e farsi credere una giovane attraente. Tra chiacchiere diurne e confessioni notturne al cellulare, sms e chat, la donna finisce per accorgersi di aver creato un mondo parallelo basato sulle menzogne, in conflitto coi suoi reali sentimenti.

In Viol@ (1998) di Donatella Maiorca, una giovane donna, nascosta dietro il nickname del titolo, si avventura nel sesso virtuale per provarne l’ebbrezza. Il suo misterioso interlocutore sembra in grado di compiacerla arrivando al punto di condizionarle la vita vera. Vittima di un autentico plagio informatico, la donna (una disinvolta Stefania Rocca) entra in un circolo vizioso che le causa non pochi problemi, in balia di un uomo tecnologico che scoprirà essere un nerd sfigato e frustrato. Fondamentalmente un dramma della solitudine, altro tema cruciale nel dibattito sugli effetti della cultura informatica (non troppo dissimile da Viol@ è il più recente Her, film americano di Spike Jonze in cui Scarlett Johansson presta la sua seducente voce a un ordigno elettronico del quale l’utente umano si invaghisce).

Allettato dalla tecnologia anche Giuseppe Tornatore. Nel non memorabile La corrispondenza (2016) una studentessa universitaria si accorge un giorno della improvvisa scomparsa del docente di astrofisica di cui è innamorata. Pur svanito nel nulla, il prof continua a inviarle mail e video-messaggi che la spingono pian piano verso un'indagine ricca di suspense. Diciamo che il film tenta il lancio di un neoromanticismo tecnologico, senza tuttavia convincere.

Vedere i vecchi film con le cabine telefoniche e la gettoniera suscita tenerezza e ilarità. Oggi, col cellulare o lo smartphone, basta una chiamata ovunque ci si trovi per cambiare qualsiasi programma della nostra routine quotidiana. E persino per scoprire altarini! Al riguardo Paolo Genovese ha realizzato un film che è ormai un cult: Perfetti sconosciuti (2016). Un 'metti una sera a cena' riveduto, corretto e aggiornato. Una divertente opera corale sugli equivoci che può generare lo scambio dei telefonini fra amici. Una cena delle beffe tech, in salsa agrodolce e con interrogativo di fondo: cosa succede in una coppia se uno dei due spia nel cellulare dell’altro? Gli amici, a tavola, accettano la sfida. Ma la sfida finisce nel classico gioco al massacro. La superficialità con cui i commensali hanno affidato i loro segreti al telefonino li porta verso conseguenze che più imbarazzanti non si può.

Nell’odierna società l’uso dei social si è espanso senza limiti. Ogni individuo fruisce di mezzi in qualsiasi istante della giornata. In pochi minuti si ottengono migliaia di visualizzazioni (ma quanta zavorra!). Su tali strumenti è possibile convertire anche i film, ma in una dimensione che nulla ha a che vedere con le risorse e i riti della sala: l’acquisto del biglietto, l’attesa, la grandezza dello schermo, la poltrona, la fruizione sociale, la condivisione emotiva, il dolby surround, il 3D…

Al cinema il pubblico che paga è esigente, si aspetta qualcosa di più e di meglio, una trama che funzioni, una storia da gustare nel buio e nel silenzio. Il fruitore del web, invece, è spesso distratto, disinteressato, non è obbligato a stare seduto, cerca la velocità, fa zapping, passa ad altro.

social donna 1280Umberto Eco assolveva il web nella convinzione che consentisse agli ignoranti di avvicinarsi in piccole dosi alla cultura, diffusa da colossi internazionali quali sono oggi Amazon e Netflix. Siamo però stretti in una sorta di compulsione. Un tempo eravamo solo sotto stress, oggi siamo tecno-stressati. Facebook, Skype, Twitter, Instagram, smartphone. Chi conosce lo scrivente sa che non ne fa uso. Benché sia odioso autocitarsi, mi permetto di chiudere con la paradossale domanda che ogni tanto mi sento rivolgere: «Ma in che mondo vivi?»

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